Per gli ottanta anni di Piero Guccione non è lui a ricevere un regalo dalla città in cui vive, Modica, con l’antologica più vasta, razionale e ben curata che gli sia mai stata dedicata. È piuttosto lui a farne uno, l’ennesimo, consentendo l’allestimento di un’operazione culturale autorevole, ben pensata e ben realizzata, come non se ne vedevano da tempo da queste parti.
Le decine di collezionisti, per lo più prestatori di gran parte delle 80 opere che la mostra “Lo stupore e il mistero del creato” raccoglie tra le sale del Convento del Carmine (che per la prima volta dopo il restauro vedono rispettata appieno la vocazione espositiva), giunti a Modica non hanno potuto far altro che apprezzare il valore dell’iniziativa e l’efficacia dell’organizzazione: la serata inaugurale di venerdì scorso ha chiamato a raccolta un ampio e qualificato pubblico di intenditori, ma non solo. Perché Piero Guccione è così: nonostante la complessità del suo sconfinato universo creativo e simbolico, riesce con la più disarmante semplicità ad incantare anche l’occhio meno educato.
Così lo stupore del suo sguardo sulla natura, sul “creato”, diventa lo stupore dell’osservatore sulla tela, su quel “richiamo perentorio all’azzurro, e la squamata pelle della terra iblea” di cui ha parlato Marco Goldin nella sua relazione introduttiva, all’Auditorium Pietro Floridia, un momento prima dell’inaugurazione, e così pur nel monumentale catalogo che rende onore alla meraviglia del percorso espositivo: “Si sta davanti ai quadri che Piero Guccione ha dipinto negli ultimi anni, in silenzio. E ci si chiede come sia stato possibile, come sia possibile, che una pittura legata al vedere, alla raffigurazione del visibile, spalanchi in un simile mistero la porta dell’invisibile, del non conoscibile“.
Il viaggio si dipana dagli anni ’60 ad oggi, passando per una “eroica” – come l’ha definita Susan Sontag – varietà di soggetti. Le figurazioni, il ciclo degli Aeroporti verso il ritorno da Roma in Sicilia, poi l’indagine sulla natura, con le influenze di Bacon e Munch, i cicli dedicati al Carrubo, alla Malinconia delle pietre, a Friedrich, poi gli omaggi a Matisse, i cicli su Norma, Cavalleria Rusticana, Tristano e Isotta, e ancora l’interpretazione dei classici dal Rinascimento all’Ottocento: cinquant’anni di lavori, accompagnati dal costante, inesauribile richiamo del mare, con un continuo cambiamento nel modo di rappresentarlo che raggiunge, nelle ultime opere, una serena contemplazione.
“Ultimamente gli azzurri del mare trascolorano verso il cielo. Verso il silenzio”, ha osservato Goldin. E Guccione è rimasto ad ascoltare, silenzioso e schivo com’è nel suo carattere. Ma, compiaciuto, si è detto commosso e grato per l’omaggio e per i due applausi, entusiasti come vere e proprie standing ovation, calorosi come lunghi abbracci per lui, che sono sorti spontaneamente nel pubblico.
Il secondo l’ha incoraggiato Franco Battiato, comparso per un’incursione breve, subito dopo Goldin: “Mi ha preso tutti gli aggettivi possibili e non me ne ha lasciato uno. Anzi no. Uno è rimasto. Perfezione“. Quella perfezione stessa che il Maestro si è dato, nell’arco dei suoi ottant’anni, come parametro dei valori: “Perseguirla è dire troppo. Però è importante per me perseguire qualcosa che mi mette in pace“.
Il percorso costruito da Paolo Nifosì e Tonino Cannata, che hanno curato la mostra, fa parlare Guccione col pubblico anche attraverso queste citazioni che lo rendono presente, vicino, come se lui stesso arrivasse a spiegarsi intuendo le impressioni negli occhi di ogni visitatore: la natura, l’eleganza, la gioia, la bellezza, il mistero, la malinconia, l’anima, l’Infinito, “che ha una connotazione diversa dall’eternità perché è misurabile poeticamente, esteticamente, sentimentalmente”.
Fonte [La Sicilia]