In occasione della giornata mondiale contro l’omofobia, che si celebra ogni anno il 17 maggio, questa testata giornalistica vuole manifestare il proprio dissenso verso qualsiasi forma di discriminazione, manifesta o velata che sia.
Per l’occasione abbiamo chiesto ad un’esperta del settore, di fare un po’ di chiarezza su una tematica ancora poco conosciuta nella sua totalità.
Da alcuni anni, e ancora di più negli ultimi tempi, è in atto una vera e propria battaglia contro l’introduzione a scuola di progetti o corsi di educazione affettiva o sessuale specie che includano riferimenti all’omosessualità, all’identità di genere o che educhino contro ogni forma di omofobia. Secondo alcune associazioni e organizzazioni religiose, ma anche politiche, lo Stato mirerebbe ad “indottrinare” bambini e alunni di ogni fascia di età, su concetti relativi all’educazione sessuale: il timore manifestato è che percorsi formativi e di sensibilizzazione mirino ad “indurre” gli allievi a pratiche omoerotiche precoci, al cambio di sesso, a comportamenti diseducativi in generale…
E’ nata così una lotta accanita nei confronti della cosiddetta “teoria gender”, che non ha risparmiato, recentemente, neppure il territorio ibleo, suscitando parecchia polvere e diverse polemiche talvolta sterili, in cui i dibattiti condotti spesso in assenza di controparti o di professionisti del settore adeguatamente informati (anche all’interno di trasmissioni televisive) hanno contribuito, più che altro, ad alimentare la confusione e i fraintendimenti.
IL CHIARO
– COSA SONO GLI “STUDI DI GENERE”?
Gli “studi di genere” (in inglese “gender studies”) raggruppano l’insieme di studi e ricerche condotte da parte di svariate discipline (in un’ottica di complementarità e di integrazione tra scienze diverse), in merito a diversi aspetti della vita umana: dall’origine dell’identità al rapporto tra persona e contesto socio-culturale in cui vive.
Tali ricerche sono nate in America nell’ambito di studi culturali tra gli anni settanta e ottanta, iniziando a diffondersi in Europa negli anni ottanta.
C’è da dire che, almeno inizialmente, gli studi di genere sono stati caratterizzati da un’impronta politica: furono, infatti, condotti soprattutto da movimenti di emancipazione femminile, omosessuale, delle minoranze etniche e linguistiche, ecc. Ad oggi, i “gender studies” rappresentano un importante approccio multidisciplinare riconosciuto dalla comunità scientifica allo studio dei generi e delle sessualità.
– COSA AFFERMANO REALMENTE TALI STUDI?
Gli studi di genere partono intanto dall’assunto di base secondo cui l’identità sessuale rappresenta un costrutto multidimensionale costituito da quattro distinte componenti:
1) Sesso biologico: ovvero l’appartenenza biologica al sesso maschile o femminile (determinata dai cromosomi sessuali, da ormoni, dai genitali esterni e interni).
2) Identità di genere: ovvero l’identificazione primaria della persona come maschio o femmina che solitamente si stabilisce nella prima infanzia (i primi 3 anni di vita circa). Come ormai noto, non sempre il sesso biologico rappresenta quello in cui “ci si sente a casa”.
3) Ruolo di genere: l’insieme di aspettative e ruoli su come gli uomini e le donne si debbano comportare in una determinata cultura e in un dato periodo storico.
4) Orientamento sessuale: l’attrazione erotica e, soprattutto, emotiva ed affettiva verso i membri del sesso opposto, dello stesso sesso o di entrambi (per cui ci si può identificare come omosessuali, bisessuali o eterosessuali).
Facendo particolare riferimento ai “ruoli di genere” appare ovvio che il rapporto tra sesso e genere varia a seconda delle aree geografiche, dei periodi storici, delle culture di appartenenza. Di conseguenza i concetti di maschilità e femminilità sono concetti strettamente collegati al contesto sociale di appartenenza ed ogni società definisce nella pratica in cosa consiste essere uomo o donna. Maschilità e femminilità (intesi quindi come insieme delle caratteristiche fisiche, psichiche e comportamentali) sono quindi concetti relativi (ma ciò non significa affatto che le differenze non esistano in assoluto o che sia necessario “livellarle” ed eliminarle).
– DI COSA SI OCCUPANO, NELLO SPECIFICO, PROGETTI E RICERCHE ISPIRATI AI “GENDER STUDIES” CONDOTTI ATTUALMENTE IN ITALIA?
Chi opera nelle scuole occupandosi di progetti che fanno riferimento agli “studi di genere”, generalmente, mira primariamente a promuovere la non discriminazione verso ogni forma di diversità, ad ostacolare il diffondersi di forme più o meno velate di bullismo omofobico o fenomeni dettati dalla non conoscenza e dall’intolleranza. Si punta, in pratica, a favorire il benessere di ogni singolo alunno, in modo che venga diffusa principalmente una cultura del rispetto.
Gli equivoci (se così li vogliamo chiamare) sorgono nel momento in cui si fa riferimento al fatto che non esiste un solo modo di essere uomini e donne, ma una molteplicità di identità e di esperienze, variabili nel tempo e nello spazio.
I progetti educativi per la prevenzione della violenza di genere, per esempio, sono generalmente (salvo casi di “pseudo-professionisti” che si improvvisano esperti del settore) elaborati su basi scientifiche da validi professionisti qualificati e spesso vigilati dagli ordini regionali di competenza. Progetti e percorsi simili tentano di scardinare stereotipi e preconcetti legati alle differenze di genere, partendo per esempio, dall’idea che se un bambino preferisce indossare abiti rosa piuttosto che azzurri o se una bambina ama giocare con cavalli e macchinine piuttosto che con le bambole, ciò non influirà né sul loro futuro orientamento sessuale né sull’identità di genere. Piuttosto, favole, giochi e vestiario che siano considerati “neutri” o comunque praticabili da bambini di entrambi i sessi, apriranno semplicemente alla libertà di scelta e contribuiranno a evitare stereotipizzazioni secondo cui, per esempio, una donna deve necessariamente occuparsi delle faccende domestiche o un uomo deve riparare l’auto o la lavatrice.
LO SCURO
– MA ESISTE DAVVERO LA “TEORIA GENDER”?
La risposta è: decisamente no! La “teoria gender” è il modo improprio in cui specialmente una parte del mondo politico e/o cattolico si riferisce a questi studi di genere, proponendone però una visione distorta e volutamente falsata.
Associazioni e organizzazioni religiose o movimenti politici “estremisti” che dicono di muoversi “a difesa della famiglia tradizionale” sembra stiano alimentando un pericoloso odio verso chi è portatore di “diversità”: in pratica, sembrerebbe che sia quasi auspicato un ritorno a tempi passati in cui si parlava di omosessualità come di una “patologia”. Le conseguenze sono, come si può rilevare dalle cronache nazionali, un allarmante incremento del disagio psicologico soprattutto in giovani che iniziano a scoprirsi omosessuali/bisessuali/transessuali, oltre che un aumento del numero di episodi di bullismo omofobico.
– QUALI ACCUSE VENGONO MOSSE A CHI OPERA NELLE SCUOLE PER SOSTENERE LE DIVERSITÀ E PER IMPEDIRE EPISODI DI DISCRIMINAZIONE E DI OMOFOBIA AD OGNI LIVELLO?
Chi si oppone alle fantomatiche “teorie gender”, travisando alcuni concetti base degli studi di genere, ha diffuso letteralmente il panico tra genitori poco informati dicendo, per esempio, tra le altre cose, che i corsi a scuola puntano a insegnare ai bambini a masturbarsi in classe o li invitino a usare i preservativi e ad avere rapporti sessuali precoci. Ancora, gli “anti-genderisti” sostengono che i corsi di sessualità a scuola mirano volutamente a “orientare” (nel senso di indirizzare e plagiare) i desideri sessuali degli alunni e che tali corsi sono addirittura “imposti” dallo Stato (dal Ministero delle Pari Opportunità) agli alunni per indurli a “cambiare sesso”, convincendoli che sia esattamente uguale a cambiare un vestito.
E queste sono solo alcune delle pratiche e degli aneddoti “divertenti” (si fa per dire) che sono stati attribuiti a chi si occupa di educazione al rispetto dei generi nelle scuole di ogni ordine e grado.
– CHI SI TROVA REALMENTE DIETRO I MOVIMENTI E LE ASSOCIAZIONI RELIGIOSE DI GENITORI?
Al di là di persone comuni che agiscono in buona fede, pensando di operare al fine di difendere valori ed ideali nobili, sembrerebbe che dietro questa vasta operazione mediatica (supportata ad hoc da organi di informazione cattolici) ci sia un’azione ben più vasta portata avanti da alcune personalità del mondo culturale, politico ed universitario cattolico, che mira ad ostacolare l’affermazione e la difesa di diritti del mondo LGBTI.
– QUALI POSSONO ESSERE GLI EFFETTI DI TALI AZIONI MEDIATICHE “ANTI-GENDERISTE”?
Gli effetti dannosi di tali azioni mediatiche mosse da chi potrebbe piuttosto promuovere la tolleranza ed il rispetto verso il prossimo, possono essere a vari livelli:
– sulle singole persone che si sentono attratte da individui dello stesso sesso o che non si sentono “a casa nel loro corpo”: il senso di disagio alimentato da discussioni e diffusioni di simili opinioni precostituite, il non sentirsi accettati dalla società e, persino dai propri stessi genitori, può portare all’incremento del disagio psicologico nelle sue varie forme (nei più giovani: paura di andare a scuola, diminuzione del rendimento scolastico, abbandono degli studi; più in generale: emarginazione, basso livello di autostima, sentimenti di depressione, rischi di tentato suicidio e suicidio nei casi peggiori);
– a livello sociale: viene alimentata la confusione, i preconcetti, i sentimenti di odio e di intolleranza verso persone lgbti, emozioni che possono pericolosamente degenerare in atti discriminatori a vari livelli o in casi di bullismo omofobico;
– sulla affermazione dei diritti: il polverone sollevato ha, inevitabilmente, una certa influenza sul mondo politico, ad esempio, spingendo le masse contro chi si fa promotore, per esempio, dell’approvazione di leggi specifiche contro l’omofobia o contro chi si esprime in favore delle “unioni” tra persone dello stesso sesso o, ancora, contro chi parla addirittura di omogenitorialità: insomma, piuttosto che prevedere, almeno su un piano legale, una regolamentazione e soluzioni a situazioni di vita comune che si possono presentare, ancora una volta si inneggia alla difesa di una religione che in certi casi non dovrebbe essere neppure chiamata in causa in uno Stato laico.
Scopo comune di chi a ha cuore le nuove generazioni ed il prossimo in generale, potrebbe essere, piuttosto che alimentare violenza e intolleranza, favorire un dialogo onesto ed aperto al rispetto reciproco ed alla difesa e valorizzazione delle differenze.