Il Cristo che barcolla sulle ali della folla. La Pasqua a Scicli è un “Inno al… Gioia”

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“Barcolla, traballa, sul dorso della folla…è pazzo di Gioia!”

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Sono i versi dell’Uomo Vivo, la canzone che Vinicio Capossela compose dopo essere stato folgorato da Scicli e dalla sua festa più famosa. Mattina di Pasqua del 2006.
Capossela, in gran segreto e dopo aver sentito parlare della Pasqua negli Iblei, visita Modica ed assiste alla Madonna Vasa Vasa. La sera si sposta a Scicli per il “Gioia”.
Mentre passeggia tranquillo tra la folla si sente un boato. Scicli stava salutando l’uscita dalla chiesa di S.Maria la Nova del suo Uomo Vivo. Vinicio rimane impressionato da tutta quella passione mista a devozione che sono gli sciclitani riescono ad esprimere in quella particolare occasione. Quello spettacolo di suoni e colori, con il sottofondo dell’Inno a Busacca che accompagna per tutto il giorno la processione, accende in Capossela la scintilla creativa.

In poco tempo nasce L’uomo Vivo, contenuta nell’album Ovunque Proteggi. Quale migliore occasione per presentarla se non il Gioia dell’anno successivo? Come nel suo stile, Capossela non annuncia nessun concerto, nessuna esibizione. Anzi. Indossa una giacca rossa, proprio come la banda musicale Busacca, e va dietro la statua settecentesca del Civilletti per diverso tempo. Arrivato in piazza Carmine, si stacca dai “colleghi” e sale sul palco. Dopo qualche attimo di smarrimento la folla lo riconosce e si accalca per sentirlo. Partono le prime note dell’Uomo Vivo ed è subito trionfo. Un boato simile a quello che saluta l’uscita del Gioia si ripete. Capossela in delirio mistico va avanti con la canzone per almeno un quarto d’ora. Da allora è l’inno alternativo della festa di Pasqua a Scicli. Capossela non di rado ritorna a Scicli e partecipa, sempre in anonimato, al tripudio di cristianesimo e paganesimo.

Questo curioso episodio spiega meglio di ogni altro esempio cosa riesce a scatenere il Gioia non solo negli sciclitani ma in tutti coloro che assistono dal vivo. Ogni parola è riduttiva, ogni descrizione sbiadita in confronto alla realtà. Chi non ha mai assistito ad una edizione del Gioia non può mai entrare nel cuore della celebrazione.

Appena finita la messa mattutina, nella chiesa di Santa Maria la Nova, inizia la processione del Venerabile, cioè del SS. Sacramento, il nome ufficiale del Gioia. Subito un numero indefinito di giovani si impossessa letteralmente della statua settecentesca e inizia il vero rito. Il Cristo viene sollevato con le braccia stese in alto, prima da un lato e poi dall’altro: i giovani gridano “Gioia! Gioia! Gioia!”. Per più di un’ora dentro la chiesa i portatori continuano a sollevare freneticamente la statua, sbilanciandola notevolmente su un lato e poi sull’altro: è solo l’antipasto di quello che succederà fino a notte fonda.

Come in una sorta di ballo tarantolato, la statua del Cristo viene fatta ondeggiare, per esprimere il senso di vittoria e felicità per l’avvenuta resurrezione.
Il Gioia procede fino a piazza Busacca: i portatori procedono più veloci e più lenti, alternando il ritmo e l’andatura, attorno alla piazza, al centro della quale c’è la statua di Pietro Di Lorenzo Busacca. Si muovono con incredibile destrezza e precisione tra migliaia di spettatori letteralmente rapiti da quello spettacolo. Ad un certo punto, quando i portatori sono sfiniti, cedono all’ultimo giro e lasciano la statua dentro la vicina chiesa del Carmine.

All’incirca verso le ore 16.00 tutto ricomincia: l’Uomo Vivo viene portato di nuovo in processione fino a tarda notte, quando verrà riportata dentro la chiesa con il suo andamento “umano”.
Una volta rientrata tutti i fedeli vanno a baciarla, mentre la festa continua in un tripudio di fuochi d’artificio.