“La dignità non ce la deve toccare nessuno. Tanti di noi, se avessero avuto di che vivere serenamente, non avrebbero commesso reati. Ma è giusto che chi ha sbagliato paghi. Io sono stato fortunato perché ho trovato chi crede in me. Ho 63 anni, e ho capito che non c’è nulla al mondo per cui valga la pena di spendere qui dentro un solo giorno della nostra vita“.
A parlare è Salvatore Saitto, arrestato per la prima volta nel 1974 per reati politici e condannato a 5 anni di reclusione, di cui i primi 5 mesi trascorsi in totale isolamento. Saitto, napoletano di origine e libero dal novembre 2014, è il vincitore dell’edizione 2014 del concorso letterario “Goliarda Sapienza – Racconti dal carcere“, destinato ai detenuti di tutta Italia e curato dalla giornalista Antonella Bolelli Ferrera, socio fondatore di Inverso Onlus, associazione per la diffusione della letteratura tra le categorie socialmente svantaggiate.
C’era anche lei, ieri pomeriggio, nella casa circondariale di c.da Pendente, a Ragusa, per presentare la quinta edizione del Premio ed invitare i detenuti a partecipare. Con lei anche due “tutor” d’eccezione del concorso: lo scrittore e regista Federico Moccia e il giornalista di Repubblica Massimo Lugli.
È stato il comune di Ragusa ad organizzare l’iniziativa, e in rappresentanza di Palazzo dell’Aquila erano presenti il sindaco Federico Piccitto, l’assessore ai servizi sociali Salvatore Martorana, e il Presidente del consiglio comunale, Giovanni Iacono. “La cultura dev’essere il ponte tra chi sta dentro e chi fuori” ha dichiarato Piccitto. “Invece, purtroppo, quello che arriva alla gente sono solo i problemi delle carceri, non le storie di chi ci vive. Questo concorso è importante perché fa emergere il vero volto dei detenuti, attraverso ciò che vogliono dirci con i loro racconti e le loro poesie”.
“Nel corso della mia visita di dicembre” ha aggiunto Iacono: “avevo promesso che sarei tornato prima di Pasqua, e così è stato. Il mondo delle carceri e quello che sta all’esterno sono distinti solo apparentemente; in realtà, se il secondo inizia a vedere e ad accogliere nel giusto modo chi fa parte del primo, permettendo un reinserimento sociale e professionale, questo potrà essere non più solo un luogo di reclusione, ma anche di speranza”.
Creare uomini nuovi, quindi, che hanno imparato la lezione e hanno nuovi progetti di vita. Questo dev’essere il fine ultimo dei luoghi di prigionia. E a ribadirlo è stato, nel suo saluto iniziale che ha aperto il lungo incontro, anche la direttrice della struttura penitenziaria, Giovanna Maltese.
Tante sono state le tematiche affrontate, soprattutto quando è arrivato il Sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri. Dalla contumacia alla carcerazione preventiva, dall’immigrazione clandestina ai tempi della giustizia, dall’importanza del garantire la certezza della pena alla rieducazione, fino alle prescrizioni e alle pene pecuniarie.
“Sono un magistrato”, ha affermato: “ma conosco davvero la realtà delle 200 carceri italiane solo da un paio d’anni, da quando cioè sono entrato nella squadra di Governo. In questo lasso di tempo ho capito quanto sia importante la sinergia tra le istituzioni per far si che i detenuti possano non solo scontare la loro pena, ma utilizzare il tempo della loro condanna imparando un mestiere e rendendosi utili e per questo stiamo lavorando ad una riforma sul lavoro penitenziario e al miglioramento delle strutture affinchè possano diventare delle ‘carceri – imprese‘. Un detenuto che fuori si sentirà accettato ed integrato, e non nuovamente condannato, sarà un uomo che non tornerà a delinquere. E questo rappresenterà un bene per se stesso e la collettività tutta. Per questo – ha concluso il Sottosegretario – stiamo procedendo al finanziamento di 600 progetti in tutta Italia”.
Sono 40, al momento, i detenuti del carcere di Ragusa che lavorano alle dipendenze del Ministero. Tre, invece, quelli coinvolti in un laboratorio per la produzione di torrone grazie ad una cooperativa esterna che sarà presente, e porterà i lavori dei detenuti, anche all’Expò di Milano. L’obiettivo è di arrivare alla piena occupazione e del resto loro, i carcerati, molti dei quali hanno raccontato il difficile percorso che li ha portati fin lì, lo hanno detto chiaramente: “Non sopportiamo l’idea di stare a guardare i muri tutto il giorno! Aiutateci ad imparare”.
Sull’importanza del reinserimento si sono concentrati anche il Prefetto di Ragusa, Annunziato Vardè, e Rosetta Noto, responsabile per il reinserimento sociale della struttura penitenziaria, che ha voluto rimarcare come solo una minima parte di chi è finito in manette ha scelto questa vita, il resto vi è stato costretto dalle circostanza e dalla sfortuna e merita, quindi, una seconda chance.
Tornando al concorso letterario, sono circa 2000 i lavori che, in quattro anni di concorso, sono pervenuti agli organizzatori. Storie di vita vissuta guardando il sole a righe. Antonella Bolelli Ferrera ha invitato tutti a partecipare. “Saranno 20, alla fine, i racconti selezionati per la finale e abbinati ad un tutor che seguirà il detenuto passo dopo passo nella trasformazione del racconto”, ha spiegato. “I tutor sono tutti personaggi di altissimo profilo che incontreranno il detenuto, leggeranno il suo racconto, apporteranno le piccole correzioni necessarie e scriveranno l’introduzione. Tutti e 20 gli scritti saranno poi inseriti in una raccolta dalla quale la RAI trarrà spunto per un film. Proprio com’è accaduto per La mala vita con Luca Argentero e Francesco Montanari. Quello che facciamo è premiare il coraggio di raccontarsi, non il racconto più bello o scritto meglio”.
“Scrivere è la torcia che illumina la caverna quando stiamo cercando l’uscita“, ha detto Federico Moccia, uno dei tutor sin dalla nascita di Goliarda Sapienza, 5 anni fa. “Io, prima di questa esperienza, non mi ero mai posto domande sulle realtà carcerarie e grazie ai detenuti ho imparato molto. Nel corso della mia carriera ho spesso scritto di giovani che, con grande naturalezza, commettevano degli errori. Loro, però, quasi sempre avevano qualcuno che glielo facesse notare. Queste persone non sempre l’hanno avuto”.
“Ho fatto dieci giorni di carcere, da ragazzino” ha raccontato Massimo Lugli. “Nessuno nasce con la natura da delinquente e non resta delinquente se non lo vuole. C’è sempre una scelta e questo concorso letterario ne può offrire una. La galera è dura, dei miei 10 giorni a 18 anni ricordo la noia mortale e solo il sonno ti strappa al dolore. Ma c’è una cosa – ha concluso il giornalista tutor, rivolgendosi direttamente alla platea di detenuti – che nessuno può chiudere a chiave qua dentro ed è il vostro spirito. Mi piacerebbe che partecipaste non per vincere, ma per quello che la lettura e la scrittura vi possono dare. Un momento di evasione, scrivendo potete volare fuori, dove volete”.
In chiusura c’è stato spazio anche per un piccolo show messo su da un gruppo di detenuti guidato dall’attore e regista Gianni Battaglia che a breve inizierà il suo secondo corso di teatro all’interno della casa circondariale. Battaglia ha letto anche le toccanti poesie scritte da alcuni reclusi e ha concluso dicendo “proprio quando ormai mi ero convinto che il teatro non servisse a niente, ho capito che, in realtà, può salvare persino delle vite”.