Quarantanove cause trattate nel 2014, di cui 42 residue di anni precedenti e sette introdotte nell’anno. In totale: quattordici quelle concluse con sentenza nell’anno scorso, tredici affermative e solo una con verdetto negativo. Sono i “numeri” relativi alle cause di nullità matrimoniale per la diocesi di Ragusa.
I dati sono stati presentati giovedì pomeriggio nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico regionale della Sicilia. Un momento al quale hanno preso parte i vescovi siciliani, a Palermo per la sessione primaverile della Conferenza episcopale siciliana. Nel 2014 il Tribunale ha trattato complessivamente 1.037 cause per le diciotto diocesi della Sicilia.
Quelle pendenti al primo gennaio 2014 erano 798, 239 quelle introdotte nell’arco dell’anno. Per 283 è arrivata la sentenza, mentre 754 risultano pendenti al primo gennaio di quest’anno. Il numero maggiore di cause a Palermo, ben 222, a seguire Messina con 162 cause, poi Catania con 145. Sei soltanto nella piccola eparchia di Piana degli Albanesi.
Per quanto riguarda la diocesi di Noto, nella cui giurisdizione canonica rientrano anche Scicli, Modica, Ispica e Pozzallo, le cause trattate nel 2014 sono state 33, undici delle quali introdotte nel corso dell’anno 2014 mentre 22 erano quelle pendenti. Sette le cause concluse con sentenza favorevole.
Su 283 cause concluse nel 2014, 256 sono state con sentenza affermativa, 49 negativa. In cima ai motivi di nullità addotti nelle cause concluse con sentenza nel 2014 vi è l’esclusione dell’indissolubilità (114), l’esclusione della prole (107). E ancora: in 30 casi è stata avanzata l’incapacità ad assumere oneri coniugali. In 23 cause è stato addotto il motivo delle minacce del timore e in 14 l’errore sulla qualità della persona. Una causa, comunque, può essere trattata per più capi.
I dati sono stati presentati da monsignor Vincenzo Murgano, vicario giudiziale del Tribunale ecclesiastico, alla presenza del cardinale Paolo Romeo, presidente della Cesi, e dei vescovi siciliani. La prolusione è stata pronunciata da monsignor Juan Ignacio Arrieta, Segretario del Pontificio Consiglio per i testi legislativi sul tema: “Prospettive del sistema matrimoniale e processuale canonico nel quadro dei recenti lavori sinodali.
Monsignor Murgano ha sottolineato il faticoso lavoro del Tribunale. “Il numero di ventisei giudici, compreso il vicario giudiziale” ha detto: “non deve trarre in inganno. Infatti solo tredici sono giudici a tempo pieno e otto sono giudici a tempo parziale, mentre i rimanenti cinque sono giudici occasionali. Inoltre, alcuni giudici sono anche parroci e titolari anche di altri uffici diocesani o regionali”.
E ha poi aggiunto: “Nel nostro quotidiano impegno in Tribunale constatiamo le profonde contraddizioni che segnano l’uomo di oggi; constatiamo, con preoccupazione, come la mentalità odierna segni il sorgere di tanti matrimoni e il loro facile sgretolarsi“.
“Alla base vi sono fragilità personali, ma vi è anche una errata concezione dell’amore legata solo al sentimento e scissa dall’orientamento di vita verso il bonum coniugum: “l’amor coniugalis […] non è solo né soprattutto sentimento; è invece essenzialmente un impegno verso l’altra persona, impegno che si assume con un preciso atto di volontà”.
Ma non è tutto negativo il discorso sul matrimonio. “Nello stesso tempo, guardando la vita che anima le nostre Chiese particolari”, prosegue mons. Murgano: “cogliamo con gioia come tanti coniugi vivono il matrimonio come una vera vocazione, arricchita e santificata dalla grazia del Sacramento. È consolante constatare come nelle nostre comunità tanti sposi vivano in piena donazione il consortium totius vitae, quella comunità di vita e di amore che per natura sua è ordinata al bene dei coniugi e alla generazione ed educazione della prole. È consolante constatare, altresì, come tante famiglie, nonostante problemi e difficoltà, siano unite e crescano in quella circolarità di amore e di donazione che è sempre la linfa vitale di ogni famiglia”.
“Constatiamo, inoltre” ha concluso il prelato: “come nelle persone che si rivolgono al Tribunale sia presente un vivo desiderio di verità, che nasce da una esperienza di fede o dall’essersi riavvicinati alla vita ecclesiale dopo anni di lontananza”.