Nel Giorno della Memoria, Giovanni Modica Scala: modicano nei campi di concentramento

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Oggi, 27 gennaio, il mondo celebra la Giornata della Memoria, per ricordare la Shoah e le crudeltà dei campi di sterminio nazisti.

Esattamente 70 anni fa, l’Armata Rossa sovietica entrò nel campo di concentramento tedesco di Auschwitz, ad ovest di Cracovia, nel sud della Polonia. Mentre si avvicinavano, le SS tedesche iniziarono l’evacuazione. Circa 60 mila prigionieri furono costretti a marciare verso ovest. Durante la “marcia della morte” i tedeschi spararono a quelli che, stremati, non potevano continuare a camminare. Gennaio, gelo, fame. Morirono in più di 15 mila.

Quando entrò, l’esercito sovietico trovò e liberò oltre 7 mila sopravvissuti, malati e moribondi.
Si stima che circa 1,3 milioni di persone siano state deportate ad Auschwitz tra il 1940 e il 1945. Di queste, almeno 1,1 milioni sono state assassinate. Ecco perché quel campo, quella città polacca, quel nome sono diventati, negli anni, il simbolo del buco nero della civiltà, del più grande orrore umano mai compiuto, del male assoluto.

Anche uno dei figli illustri della città di Modica visse sulla propria pelle quell’immane tragedia.
Lo storico modicano Giovanni Modica Scala, per oltre un anno, fu rinchiuso nei campi di concentramento tedeschi.

Tutto iniziò nel febbraio del ’44 quando – da giovane ufficiale – fu fatto prigioniero dai tedeschi ed internato, dapprima, nel campo di Kustrin. Poi il calvario continuò a Sandbostel, Wietzendorf, Amburgo.
La sua colpa fu quella di essersi trovato tra le file di un esercito allo sbando dopo l’8 settembre del ’43, e – in seguito – di essersi rifiutato di continuare la guerra insieme alle truppe tedesche.

Nei campi – bollato con la definizione di IMI (Internato Militare Italiano) fu costretto ai lavori manuali.
Ma lì conobbe personaggi come Giovanni Guareschi e Alessandro Natta.
Fu tra i pochi, nel maggio 1945, ad avere la fortuna di tornare a casa, ma quell’esperienza lo segnò profondamente per il resto della sua vita. Lui la volle ricordare a modo suo in molti scritti e in un preziosissimo diario di prigionia, ancora inedito.

“Se penso ai giorni della prigionia in Germania”, così Modica Scala introduce il suo diario Eros kai Thanatos: “mi viene in mente un saggio aforisma orientale: “Perdonare e non dimenticare, è peggio che non perdonare”. Io ho una memoria di ferro“.

Poi – in un passo scritto a Sandbostel il 29 ottobre 1944 – racconta la routine della vita nel campo. Eccolo:

Il guaio peggiore della prigione di un campo di concentramento, a parte lo stomaco eternamente vuoto, è il complesso di noia e di malinconia, potenziato dalla solitudine. Un antidoto, di notevole efficacia, è costituito dalle sigarette, dai libri e dal diario, per quanti si alimentano di questa mania. Ognuno di noi ha avuto il permesso di portarsi appresso un libro, ma un libro costituisce la distrazione di un solo giorno. Ed allora, abbiamo escogitato un sistema che permette di scambiarci i libri (possibilità non prevista o proibita dal regolamento). Uno chiede il permesso di andare a gabinetto; se lo ottiene, ci va. Si porta, tra camicia e pelle, il suo libro; va a gabinetto e lo depone sotto il secchio della spazzatura, dove trova un libro diverso, lasciato da un altro.
Tra lettura, qualche fumatina e qualche nota di colore, il tempo pare scorra più velocemente. Oggi, poi, ho trovato un altro passatempo, incidendo sul muro di cemento, con l’ago che mi è servito per rattoppare calzini e calzoni, il ricordo del mio passaggio.
È un vezzo comune a turisti e scolari, quello di incidere una frase, un motto o una semplice firma, sui muri dei gabinetti o delle prigioni, sulle colonne di un monumento o sui banchi della scuola. Io non ho resistito alla tentazione.

Era quasi buio quando ho finito di incidere, sul muro, i versi finali di una poesia che, nella sua interezza, conservo per il mio diario:
Frammenti d’anima
bruciano nell’ansia
dell’ora ultima.
Nell’immobilità dei sensi
ansita greve la vita.
Per i sospesi silenzi,
nei baratri profondi
precipita l’inesorabile
.

Ad Amburgo – alla fine della sua prigionia – le idee di Giovanni Modica Scala sono già chiarissime:

(…) Scrivere, confessando emozioni e sentimenti, aveva il fascino del proibito; ogni perquisizione che avesse portato alla scoperta dei miei appunti, rappresentava un pericolo reale, un pericolo grave oltre ogni immaginazione.
Oggi, niente più di tutto questo: posso scrivere quello che voglio, imprecare, maledire, sfogare il mio odio contro chi mi ha rubato quasi due anni di giovinezza, esprimere la mia condanna all’inferno contro chi ha partecipato al lavacro di sangue più mostruoso che l’intera storia dell’umanità ricordi.

Poi c’è un prezioso sigillo che lo storico modicano pone sul suo racconto, prima di tramandarlo – dapprima – ai suoi affetti più cari, ed oggi a noi:

Ai miei figli e ai miei nipoti, a cui il diario è destinato, la mia esperienza può servire ad evitare gli stessi errori, ad odiare la guerra che dissolve ogni valore morale, a concepire l’amore come l’unico splendido dono concesso all’uomo da una entità sconosciuta, a parziale risarcimento di innumeri sventure.