Non è perché ultimamente mi capita di interessarmi di enologia, che mi preoccupo della sana maturazione dell’uva.
Ricordo che da piccola mi regalarono due grandi libroni rossi illustrati con tutte le favole di Esopo e Fedro e sin da allora mi chiedo come mai quella della volpe e dell’uva sia tra le poche in grado di attecchire e persistere nell’immaginario comune.
Leggendo i giornali di questi giorni (e anche un po’ scrivendoci), mi rendo conto che la ragione sta semplicemente nel peso politico dell’uva acerba: in quanto, cioè, sia socialmente rilevate il comportamento di quegli uomini che “se per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze”.
Tanto che, se normalmente i vizi si trattano in termini di giudizio o di pettegolezzo, di questo genere di casi si parla, discute e scrive nella consapevolezza di non poterne prescindere, di doverli gestire.
Prendiamo quello delle primarie del Partito Democratico a Ispica, per esempio, senza bisogno di andare a scomodare la Liguria con tutto il carico di improperi di Sergio Cofferati.
Com’è noto, il candidato del secondo circolo (o almeno del comitato che lo promuove) Gianni Stornello è uscito dal voto con una sconfitta che è matematica e non opinione: 251 voti su 1895 votanti, meno di un terzo del vincitore Pierenzo Muraglie che ne ha presi 939.
Ora, una volpe che voglia ambire a raggiungere il grappolo più desiderabile, quello che cresce più in alto, dovrà saper correre anche il rischio di non farcela, senza per questo giudicarlo acerbo.
E se Stornello ha accettato di correre questo rischio, se è vero che ha trascorso come gli altri gran parte della giornata delle Primarie intorno al seggio di piazza Unità d’Italia controllando la correttezza delle operazioni di voto, se è vero che il minuto dopo il risultato ha persino esibito un lodevole fair play porgendo un “grazie doveroso” ai componenti del seggio “per l’ottimo lavoro svolto”, accorgersi solo dopo che si trattava di “primarie-farsa”, illegittime e tutte da annullare, sa un po’ di immaturità, ma questa volta non è quella dell’uva.
Oppure prendiamo il caso del sindaco di Modica Ignazio Abbate, che nell’ultimo anno ha piuttosto malamente finto la parte della volpe sorniona, disinteressata alle uve più difficili da raggiungere, tipo quelle che stanno ai vertici del Partito Democratico.
Ma le voci sui suoi tentativi di agguantarle sono state ben più che chiacchiere da bar e Abbate stesso nei mesi scorsi non aveva fatto mistero di considerare Matteo Renzi come “la persona più seria e l’unica che può cambiare l’Italia”, tanto da avere spinto verso il Pd un certo numero di voti in occasione delle elezioni europee.
Nel frattempo, però, le cose si sono complicate e tra Abbate e l’uva si sono frapposti altri ostacoli (prevalentemente un certo affollamento verso la Leopolda) che evidentemente lo hanno portato a desistere. E a dire, prontamente, che l’uva è acerba, che il Pd è un partito pericolosamente bifronte, che il Governo Renzi è l’incubo peggiore di tutti i sindaci che come lui lottano ogni giorno per la sopravvivenza (non solo quella amministrativa, naturalmente, ma innanzitutto quella personal-politica).
Per onestà intellettuale, bisogna dire che la prima reazione di Abbate è stata quella di desistere dal volgere lo sguardo verso altri grappoli d’uva e di ripiegare sulla prospettiva di restare a fare la volpe-sindaco per dieci anni anziché per i cinque che si era prefissato inizialmente. Tuttavia, dato che non molto lontano da lui c’è Nino Minardo che sta impiantando dei nuovi vigneti – l’insegna, ha detto, sarà “Rigenerazione comune” – non è escluso che gli torni l’acquolina in bocca.
E infine prendiamo Scicli dove, al contrario, l’uva è talmente alta che a raggiungerla non ci prova proprio nessuno e preferiscono tutti limitarsi a pensare che sia pessima. È passato un mese dalle dimissioni del sindaco Franco Susino eppure dal Palazzo del Municipio si tengono tutti alla larga: oggi, improvvisamente, sono tutti innocenti, tutti contro quello che è stato e tutti censori di com’è diventato.
Se a un qualunque rappresentante di partito o simili oggi si chiedesse di immaginare come sforzarsi di raggiungere quel grappolo ambito – la poltrona di sindaco, oggi occupata da un commissario modicano – si otterrebbe di far dileguare tutti nel giro di un minuto.
L’uva del sindaco di Scicli sembra così acerba che nessuno la vuole, ottima premessa affinché finisca tra i denti di chi non la merita.
P.S.
“Nondum matura est, nolo acerbam supere”, era la formula della volpe. In un tempo di tante semplificazioni e tanto individualismo, alla politica non sembra rimasto molto altro da aggiungere.