Pensavo: ma non saranno troppi tutti questi Charlie, in giro per Modica?
E lo pensavo proprio perché nella città in cui vivo, ieri e questa mattina, ho visto passeggiare gente, lungo il corso, con la copia di Charlie Hedbo sotto braccio. Persino la macchina parcheggiata in doppia fila, proprio dietro la mia, ne aveva una sul cruscotto…
E nelle tre edicole dove sono andato per provare ad acquistarne una l’avevano finito, insieme al Fatto Quotidiano che ha fatto la (lodevole) scelta di distribuirlo (pare che non siano bastate i 260mila “esemplari” in vendita in Italia in allegato al quotidiano di Travaglio, che lo porterà di nuovo in edicola il 15 gennaio).
E allora. Premettendo che la domanda non nasce dall’amarezza di non avere tra le mani la “mia” copia del settimanale parigino, mi chiedo: ma non saranno troppi, tutti questi Charlie in giro per Modica (ma anche per Palermo, Roma, Milano)?
Lo chiedo partendo, piuttosto, dal dubbio che forse l’ondata emotiva successiva alla terribile strage parigina – un evento globale, rilanciato da tv e social di tutto il mondo (ma quale evento oggi non lo è?) – abbia determinato in molti, troppi, quasi come un riflesso incondizionato, una voglia di esserci figlia più del principio del “così fan tutti” e del “io c’ero”, che di un’appartenenza convinta ai principi libertari e illuministi che quel giornale incarna(va).
Intendiamoci, fa anche piacere far parte di una comunità così sensibile e informata. Ma io chiedo se non siano troppi tutti questi Charlie, proprio partendo dalla consapevolezza che “avere” in mano una copia del settimanale parigino (giornale di discreto successo, fino a ora, destinato quasi esclusivamente ai salotti della borghesia della capitale francese…) non equivale a “essere” Charlie.
Cosa voglia dire “essere Charlie”, a una settimana esatta dall’eccidio in quella redazione, è stato spiegato bene dal direttore de Il Post, Luca Sofri:
Chiedo scusa per la brevità e l’apparente ovvietà del post, ma con mia stessa meraviglia si direbbe ce ne possa essere bisogno.
“Io sono Charlie”
vuole dire che
“io sono perché Charlie sia sempre libero di pubblicare quello che ritiene”.
non vuole dire
“io sono sempre d’accordo con quello che Charlie pubblica”.
“Essere Charlie” – e mi permetto di aggiungere questa considerazione alle parole di Sofri – significa anche “essere anti integralista”. Che è un modo di essere (e di vivere) che viene prima dell’essere “anti integralista islamico”. E non c’entra nulla con “l’essere anti musulmano”. Così come non c’entra neppure con “l’essere contro i musulmani” o “l’essere islamofobo” o “l’essere contro gli immigrati”.
Mi sbaglierò, ma credo di poter dire che prima di oggi in pochi conoscessero e condividessero l’ostinazione del settimanale francese di schiaffeggiare, con irriverenza e “cattiveria”, il potere dei politici, della Chiesa cattolica, della religione islamica.
Dire #JeSuisCharlie e comprare una copia del settimanale, sull’onda della “moda” del momento, ammettiamolo, è semplice. Invece opporsi ai pregiudizi più forti e giovani della nostra contemporaneità, molti dei quali riguardano l’Islam, costa fatica, pazienza e lavoro quotidiano.
Francesco Ragusa (che ringrazio per avermi prestato la foto sopra), su questo sito, ha riportato una bella chiacchierata fatta con il responsabile del Centro Islamico di Comiso. Che a proposito dei fatti di Parigi ha detto:
Questi terroristi devono essere chiamati tali, senza alcuna distinzione di religione. Per colpa di gente come loro, da anni, ci sentiamo sempre accusati: è come se fossimo tenuti a difenderci e scusarci per qualcosa che non abbiamo mai commesso.
Ecco. “Essere Charlie” oggi – anche prima di prendere d’assalto le edicole – a queste latitudini significa prendere vera e concreta consapevolezza di essere terra di frontiera e di approdo di migranti (per la maggior parte musulmani); significa cercare di rafforzare la propria identità per poter essere in grado di reggere (senza soccombere né prevaricare) la naturale contaminazione con chi viene da terre, mondi, culture, religioni diverse dalle nostre.
“Essere Charlie” domani: questa è la sfida. Ed esserlo fra tre mesi. Fra un anno. Quando cioè in copertina di quel settimanale, irriverente e senza censure, metterà letteralmente (e graficamente) a nudo Papa Francesco, il Dio dei cattolici, la Madonna e tutti i Santi del paradiso dei credenti.
Quante copie e quanti Charlie ci saranno intorno ai tavolini del bar del Corso di Modica (o nella metropolitana di Milano)?
I terroristi che hanno scatenato l’inferno a Parigi e in Francia, hanno – per ora – ottenuto che le vignette del giornale hanno fatto il giro del mondo e Charlie è diventato il più famoso e ricercato giornale satirico del pianeta.
Lo sarà ancora nei prossimi 364 giorni?