“La mia Gianna uccisa da uno squilibrato. Ma chi lo ha tenuto in quel posto?”

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Un’indagine parallela per capire se, oltre al bidello Lo Presti, la morte della professoressa Gianna Nobile possa essere addebitata a qualcun altro orbitante nell’ambiente scolastico presso il quale l’amatissima insegnante di religione prestava servizio.
A chi, cioè, potrebbe aver permesso all’assassino di rimanere ad operare tra le mura dell’istituto comprensivo Pappalardo, lasciando cadere nel vuoto le segnalazioni circa gli strani comportamenti di quell’anziano bidello che distribuiva poesie scritte di proprio pugno e minacciava di fare una strage.

L’inchiesta potrebbe essere chiusa prima di Natale, ma dal Commissariato di polizia di Vittoria fanno sapere che sono state concluse da tempo tutte le verifiche e, se omissione d’atti d’ufficio risulterà, non potrà essere considerata una delle cause dell’omicidio.

La famiglia Nobile-Di Stefano, però, la pensa diversamente, e adesso che è arrivata la sentenza di primo grado che condanna Salvatore Lo Presti a 16 anni e 8 mesi, vuole chiarezza a 360 gradi.
“Gli atti sono in Procura” fa sapere Patrizia Nobile, avvocato e sorella della compianta docente, che spiega come si tratti di un procedimento promosso d’ufficio contro la Pappalardo per capire se siano riscontrabili responsabilità penali o civili nei confronti di chi avrebbe potuto rimuovere il bidello e non lo ha fatto.

“Stiamo parlando di una persona che dava chiari segni di squilibrio, che portava a scuola catene e armi, che minacciava bambini e insegnanti” spiegano Patrizia Nobile e il marito di Gianna, Domenico Di Stefano: “Già nel maggio 2011 si erano svolte delle assemblee ed era stata conclusa una raccolta di firme”.
Una situazione che la professoressa Nobile ha cercato di fronteggiare, finendo per pagare con la vita. E spuntano anche tre piccole cassette audio in cui Gianna Nobile, sentendosi in pericolo e isolata, avrebbe registrato assemblee e stati d’animo e che sarebbero già state ascoltate e trascritte dalla figlia e della sorella per dare più forza alla denuncia e all’indagine. Cassette in cui la professoressa avrebbe perfino chiesto “se davvero quest’uomo fa una strage, chi si porterà questo peso sulla coscienza?”.

“Mia moglie era coraggiosa”, afferma il marito che, con la fede sempre al dito, ammette di non avere avuto ancora il coraggio di ascoltare quelle cassette – e si sentiva sempre in dovere di proteggere tutti, ma se Lo Presti avesse davvero voluto uccidere lei per rancori personali lo avrebbe fatto prima.
Gianna aveva finito di lavorare il 9 giugno e la mattina del 15 si è trovata li per puro caso, solo perché l’hanno chiamata dalla segreteria per chiederle di passare a firmare dei documenti”.

Il marito ci tiene anche a fare chiarezza, una volta per tutte, sulla storia del presunto amore non corrisposto da parte del bidello nei confronti della moglie.
“Sapevo che lei lo temeva, ma solo per le ragioni per cui lo temevano tutti e non perché le avesse mai fatto delle avances. Quell’uomo è solo un povero pazzo ma pensiamo che ci siano altre persone che, con il loro silenzio, hanno permesso che stesse tra i bambini e mettesse in atto esattamente quello che minacciava di fare prima di andare in pensione”.

Salvatore Lo Presti si trova ora rinchiuso nel carcere di Siracusa. In merito alla sentenza, la famiglia è lapidaria. “Sapevamo che non potevamo aspettarci di più, è stata una condanna calcolata quasi matematicamente con quello che la legge italiana prevede, calcolando vizio di mente e rito abbreviato. Il nostro timore è, però, che gli anni vengano ridotti in appello e che fra qualche anno sia fuori”.

Da 16 mesi la vita di queste due famiglie è cambiata per sempre e, da sempre, hanno chiesto solo giustizia e rispetto per il loro dolore. Adesso, però, vogliono anche esternare la loro amarezza. “Abbiamo capito chi sono i veri amici, mentre altri comportamenti ci hanno deluso”, dichiara Domenico Di Stefano, che fa un chiaro riferimento alla Diocesi di Ragusa, sparita subito dopo il funerale e assente anche il 4 ottobre 2013 nel giorno dell’intitolazione a Gianna Nobile di una scuola e dell’auditorium della Pappalardo.
“In quell’occasione” ricorda Patrizia “speravamo in un momento di preghiera con il Vescovo, perché è quello che Gianna avrebbe voluto”.

Stando, infine, alla sentenza, Lo Presti dovrebbe risarcire la famiglia Di Stefano- Nobile con 1,2 milioni di euro, 200mila euro ciascuno per i genitori, il marito e i due figli e 100mila euro per il fratello e la sorella.
Si tratta, ovviamente, di soldi che non arriveranno mai a destinazione, essendo Lo Presti nullatenente. Al contrario di quelli raccolti in occasione delle esequie e che la famiglia ha equamente diviso tra le suore di Madre Teresa di Calcutta, la chiesa della Resurrezione, un istituto per orfani, il centro neuromutolesi di Vittoria e tre famiglie indigenti del posto.