Scicli-Vigata chiusa per mafia. O almeno così scrive La Repubblica

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L’ossessione per il commissario Montalbano e un pizzico di morbosità per i temi che solleticano la rabbia antipolitica: mescolate bene gli ingredienti e quello che viene fuori è che “la città di Montalbano è chiusa per mafia”.

Un po’ come Vigata nella fiction ispirata ai romanzi di Camilleri, fa notare giustamente il giornalista Attilio Bolzoni in un pezzo in punta di penna che oggi su Repubblica, forse esagerando con il colore (molto carico e anche un po’ scontato), dà in pasto all’opinione pubblica nazionale ciò che evidentemente si aspetta di leggere su di noi.

Eccolo:

Povero commissario Montalbano, evidentemente lei ha un sesto senso. Ora si capisce perché ci va sempre di malavoglia nella stanza del Questore che la mortifica di continuo, la minaccia, le “consiglia” prudenza verso i potenti sui quali indaga. Si capisce, eccome se si capisce perché non le piace quella stanza.

È quando la fiction anticipa in qualche modo la realtà. Non capita spesso, però capita. A Scicli per esempio. O se preferite nella Vigata del popolarissimo Salvo Montalbano di Camilleri, tanto nessuno lo sa più qual è quella vera e quella finta, si sono così mischiate tra cattedrali bianche e scalinate, tripudi di capitelli e chiostri che ormai non c’è differenza fra la Scicli-Scicli e il palcoscenico della splendida serie televisiva interpretata da Luca Zingaretti. Adesso c’è anche un motivo in più: quella stanza.

Se sugli schermi è l’ufficio dell’antipatico e ossequioso Questore di Vigata che intralcia in tutti i modi il simpatico e onesto Montalbano, da ieri è anche l’ufficio del sindaco di Scicli (Scicli-Scicli) che tra meno di una settimana potrebbero chiuderlo “per mafia”. Non è bello, ma è possibile.
Fra i palazzi barocchi della Sicilia più lontana si sta insediando quella che in linguaggio burocratico chiamano “commissione per l’accesso agli atti”: in sostanza stanno cercando carte per sciogliere il comune per infiltrazioni malavitose. Oggi saranno ascoltati i venti consiglieri, poi i funzionari prefettizi rovisteranno negli archivi e nei bilanci e poi ancora – il 6 ottobre – decideranno sul destino del governo di Scicli. Imputato numero uno della faccenda il sindaco Franco Susino, 65 anni, medico, uno del centro-sinistra che ha messo su una giunta “tecnica” e che nel frattempo è rotolato in un’indagine della procura di Catania su appalti di rifiuti urbani. Indagato per concorso esterno. Una mezza dozzina i personaggi arrestati qualche mese fa dai carabinieri, tutti di un’organizzazione che secondo i pm detenevano il monopolio di certi affari in città favorendo anche assunzioni di amici e parenti. L’indagine è iniziata con due attachini che, nelle amministrative del 2012, incollavano manifesti elettorali ai muri. Ed è finita nella stanza del sindaco Susino. La stessa del commissario Montalbano.

Una poltrona che è diventata due volte scomoda, vero sindaco? “Ma no, no, io sono tranquillissimo, tutti mi conoscono a Scicli, tutti sanno come ho amministrato, tutti sanno cosa ho fatto”, risponde. “Massima fiducia nelle autorità competenti”. “Rispetto per la magistratura”. “Non mi dimetto per l’interesse della città”. Qualche settimana fa, il sindaco aveva tirato in ballo anche la Concordia e il comandante Schettino: “Io non sono uno che abbandona la nave: resto sul ponte di comando”.

Ed è ancora lì nella sua stanza e in quella del Questore di Montalbano. Il dipinto ottocentesco alle spalle della scrivania rococò, un piccolo crocifisso, i calendari della polizia di Stato, tutto preciso come nelle scene di ogni episodio del lunedì sera, dalla Forma dell’Acqua al Cane di Terracotta, dalla Pazienza del Ragno al Ladro di Merendine. Tutto identico, anche la seggiola sulla quale si sistema il didietro l’odioso capo che non ama il commissario e la sua poca propensione all’ubbidienza incondizionata. Forse era già scritto che quella stanza aveva qualcosa di ambiguo, che dice sindaco? “Fesserie, sono abbastanza tranquillo”. Abbastanza.

Così se Vigata è Scicli, se Marinella è Punta Secca, se Montelusa è Ragusa, se il palazzo municipale di Scicli è l’esterno della sede della Questura di Montelusa, se la stanza del Questore pavido è la stanza del sindaco indagato per mafia, se mettiamo insieme i discorsi che Montalbano subisce dal suo Questore e mettiamo insieme le indagini dei carabinieri sul sindaco Susino, apparentemente non ci districhiamo ma alla fine capiamo tutto. Ve l’abbiamo appena scritto: a volte la fiction annuncia ciò che verrà.

Per il resto, che dire. Un tempo questa provincia siciliana con i suoi gioielli architettonici edificati dopo lo spaventoso terremoto del 1693 – da Ragusa Ibla a Modica e poi fino a Noto – era considerata immune dalle mafie. Quando lo scrittore Leonardo Sciascia la raggiungeva dalla sua Racalmuto (dall’altra parte dell’isola, a occidente) per incontrare Gesualdo Bufalino, ne parlava come di una Sicilia “babba”, cioè stupida, ovvero senza boss e malizia. Una descrizione che non vale più. Già alla fine degli anni Settanta erano arrivate le cosche palermitane attirate dalla base dove gli americani avrebbero voluto puntare i Cruise, missili “da crociera” per far paura a Mosca prima del crollo del Muro. Poi sono piombati i catanesi, poi ancora c’è stata l’invasione degli “stiddari”, malacarne senza quarti di nobiltà criminale ma carichi di violenza.

Scicli era lì in mezzo. Prima di Montalbano e del sindaco Susino era desolata nella sua bellezza barocca. Fra ulivi, carrubi e lunghe spiagge dove ancora vive il pittore “delle linee della terra e del mare”, Piero Guccione, un altro grande della provincia siciliana.

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