L’esempio del “ragazzo del silos”: Carmelo non ha le gambe ma vuole camminare

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Il giorno del suo rientro a casa, dopo cinquanta giorni di lotta tra la vita e la morte all’Ospedale Cannizzaro di Catania, la sua famiglia lo ha accolto con uno striscione da stadio che lo salutava come un “super eroe”.

E in città, dove purtroppo lo conoscono come “il ragazzo del silos”, chi lo ha incontrato per caso non ha creduto ai suoi occhi. Se il 15 luglio, il giorno maledetto in cui le gambe gli finirono tra le spirali metalliche di quel silos, tutti hanno tremato e pregato per la vita di questo ragazzo, oggi Carmelo Floridia dimostra a se stesso, alla sua famiglia e a chiunque avrà bisogno di questo straordinario esempio, che la vita è più forte e che a 29 anni non si può far altro che pensare al futuro, in un modo o nell’altro.
“E adesso che sono a casa ho una medicina in più, che è l’affetto della mia famiglia che mi sta aiutando a guarire”, conferma Carmelo, che accetta di raccontare il suo calvario e di farne una testimonianza.

Non gli manca, negli occhi, l’ineluttabile consapevolezza che senza quelle gambe la sua vita è cambiata per sempre. Ma non gli manca nemmeno, nel sorriso, la certezza di aver ricevuto il miracolo di essere vivo e, più di tutto, una voglia incontenibile di esserlo: “Sono concentratissimo sulla guarigione”, dice “perché voglio tornare a camminare. Non sarà sulle mie gambe, non sarà la stessa cosa, ma adesso è ciò che mi importa di più e cercherò di riprendermi la normalità”. Di tempo, pazienza e coraggio ce ne vorranno ancora, prima per sottoporsi ad un altro intervento a Catania e poi per volare a Bologna per le protesi.
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Ma è tutto più facile, con la certezza di non essere solo, e anzi di poter contare su una famiglia che gli si è messa attorno come una rete di protezione: “La prima cosa a cui ho pensato, appena mi sono svegliato dopo l’intervento ricorda Carmelo, con un sorriso: “è che la mia ragazza non mi avrebbe più voluto: ho chiesto che me la chiamassero subito, perché volevo saperlo”.

Ma la sua fidanzata, Giusy, ben lontana da questa intenzione, non ha lasciato il suo letto nemmeno un minuto: “Sono orgogliosa di lui”, dice emozionata. Come orgogliosi, seppur ancora visibilmente provati e addolorati, sono suo padre Giorgio, sua madre Rosa e le sue sorelle Ausilia e Veronica.

“In Ospedale non mi hanno lasciato mai da solo”, racconta Carmelo, anche se sembra che le parole non gli bastino a ringraziare come vorrebbe: “Sia loro, sia gli zii, gli amici, sono sempre venuti a trovarmi e a distrarmi. Mi hanno portato talmente tanto cibo che anche gli infermieri venivano a mangiare con noi e la mia stanza la chiamavano la taverna dello zio Carmelo. Anche loro sono rimasti sorpresi dalla mia reazione positiva e alla fine sono arrivati a portare da me i pazienti più depressi affinché io, che in tutti i casi stavo messo peggio, facessi loro coraggio”.

E fa proprio coraggio sentirglielo dire, adesso che non corre più pericoli: anche se questa brutta storia è tutt’altro che finita, è bello poter essere certi sin d’ora che finirà in modo lieto, come Carmelo merita.