La tragica avventura del sommergibile Veniero: un’immersione nei ricordi

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Pur a distanza di decenni, questa storia deve ancora essere scritta per intero. E la prima importante testimonianza è custodita nelle pagine del romanzo “Storie di uomini e di navi – Un’avventura chiamata Veniero”, edito da La Mandragora e scritto a quattro mani dal giornalista de La Sicilia Leonardo Lodato e dal suo grandissimo amico, nonché suo istruttore subacqueo, Guido Capraro.
A Leonardo abbiamo chiesto di quel tragico episodio che, per drammaticità, ha lasciato un segno profondo e di grande attualità. Per raccontare del Veniero, sono state necessarie numerose immersioni, utili a vedere con i propri occhi ciò che poi sarebbe stato scritto sulle pagine del libro.

Gli uomini temono il pensiero più di qualsiasi cosa al mondo, più della rovina, più della morte stessa. Il pensiero è rivoluzionario e terribile. Il pensiero non guarda ai privilegi, alle istituzioni stabilite e alle abitudini confortevoli. Il pensiero è senza legge, indipendente dall’autorità, noncurante dell’approvata saggezza dell’età. Il pensiero può guardare nel fondo dell’abisso e non avere timore. Ma se il pensiero diventa proprietà di molti e non privilegio di pochi, dobbiamo finirla con la paura.
(Bertrand Russell)

Sono passati quasi dieci anni da quell’immersione.
Volevamo essere i primi a salutare l’evento, triste ma importante, degli ottant’anni dal tragico affondamento del Regio Sommergibile Sebastiano Veniero, avvenuto nell’agosto del 1925 a sei miglia da Portopalo di Capo Passero.
Volevamo essere i primi ad accarezzare le lamiere arrugginite per portare a quei 36 sfortunati uomini di equipaggio il saluto dei parenti e di tutti gli uomini di mare. Un documentario televisivo a testimonianza della nostra “missione”. Poi, un libro, Storie di uomini e di mare – Un’avventura chiamata Veniero, per raccogliere tutto quel che è venuto prima, durante e, soprattutto, dopo.

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Altre testimonianze, altri ricordi, altre lacrime di dolore per chi non c’è più. E i sorrisi per i tanti nuovi amici che questa impresa ci ha portato. A distanza di dieci anni, dunque, il messaggio che arriva dall’equipaggio del “Veniero”, da quegli uomini coraggiosi che si sono immolati per uno spiccato spirito di avventura ma, ancor di più, per amore della Patria, sembra chiaro: “Non dimenticateci!”.

E gli eventi, dopo anni di silenzio seguiti al clamore dovuto alla scoperta del maestro Enzo Maiorca, colui che riuscì a dare un nome a quel relitto, si susseguono l’uno dopo l’altro in una sottile linea di continuità che da’ finalmente giustizia aquegli eroi dimenticati. Qualcuno ha visto il documentario realizzato dall’Ultradive Team, qualcun altro ha letto il libro cercando in quelle pagine una traccia, un indizio per potere ricostruire e mettere insieme le tessere di una trama che rischia di dissolversi con il potere del tempo, con l’innato vizio della “dimenticanza” umana, con l’acqua di mare mista al sale che corrode ogni cosa.

Per chi ancora non lo sapesse, il sommergibile Sebastiano Veniero faceva parte della gloriosa flota della Regia Marina, vanto di un’Italia che stava per affrancarsi dai clangori della prima guerra mondiale.
Era il 24 agosto del 1945 e quel sommergibile, al comando del capitano di fregata Paolo Vandone, stava solcando i nostri mari insieme con altri due battelli, il Nani e il Marcello, per un’esercitazione interforze nel Canale di Sicilia. All’alba del 26 agosto, il sommergibile, che viaggiava a quota periscopica, fu speronato dalla motocisterna Capena, appartenente alla Società di navigazione Roma. Il comandante della nave, il capitano di lungo corso Baldassarre Longo, che in quel momento non era sul ponte di comando, avvertì, come tutto l’equipaggio, uno scossone ma ritenne che si trattasse semplicemente di un colpo di mare in prora più violento degli altri.

La Capena proseguì dunque il suo viaggio senza fermarsi per eventuali accertamenti. Terminava così, invece, la navigazione del “Veniero” che, nella collisione, aveva riportato danni e conseguenze tali da farlo inabissare irrimediabilmente. Abbiamo voluto ripercorrere quella storia passo dopo passo. Abbiamo messo acqua dietro le nostre pinne addestrandoci per quell’evento. Un’immersione apparentemente facile ma con un grado di emozione fuori dalla norma e, per questo, particolarmente insidiosa.

A -45 metri di profondità nel blu del mare siciliano, con il cuore che batte forte ricordando le parole del figlio ormai otantenne di uno dei marinai scomparsi in quel tragico giorno. “Siete angeli”, disse quasi con le lacrime agli occhi Raffaele De Rosa, mentre, insieme, al cimitero del Verano a Roma, passeggiavamo davanti al monumento dedicato ai caduti del Veniero. Per lui eravamo angeli perché abbiamo accarezzato le lamiere di quella che si è trasformata nella tomba di un padre conosciuto soltanto attraverso i racconti di guerra e di mare, nel sacrario di quei caduti uniti dagli stessi desideri e dallo stesso, assurdo, destino.

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Questo e tanto altro raccontiamo nel libro scritto a quattro mani con Guido Capraro. Un libro che è servito, ancora una volta, a dare voce e rimembranza ad un capitolo della nostra storia. Perché gli eroi non sono soltanto i vincitori e coloro che tornano a casa tra sorrisi e abbracci di amici e parenti. Eroi sono anche quei ragazzi che, in tempi difficili hanno sacrificto la propria vita per darci la possibilità di essere oggi quello che siamo, un popolo libero.

Il ricordo è quel che chiedono ancora oggi quei marinai e tutti gli uomini di tutte le guerre caduti in mare. Il ricordo, come in un susseguirsi di vicende che non vogliono trovare fine è quello che viene celebrato quest’anno, il 26 agosto, a Termini Imerese dove, mi comunicano gli amici Beppe Giallombardo e Aldo Bacino, finalmente dopo tanti anni, sarà ricollocata una lapide proprio lì dove sorgeva il ricordo di quell’episodio, il molo principale del porto di Termini Imerese, intestato al Regio Sommergibile Sebastiano Veniero. La lapide originale è scomparsa, probabilmente andata distrutta, dopo alcuni lavori di ammodernamento del molo.

Oggi, un gruppo di amici, con in testa l’Associazione nazionale Marinai d’Italia e la Marina Militare, ha deciso di posizionare nello stesso identico luogo una nuova lapide. Ecco perché sembra ancora di sentire quelle voci che, nella solitudine troppo rumorosa dei fondali del Mare di Sicilia, chiedono non giustizia ma la volontà e l’obbligo morale di non dimenticare.