Maglia nera alla Sicilia: con il 32,5 per cento di famiglie indigenti contro una media nazionale del 26 percento, la regione più povera d’Italia. Peggio fa solo la Calabria, dove l’indice di povertà relativa risulta pari al 32,4 per cento.
Questo emerge da un’indagine dell’Istat sulla povertà in Italia nel 2013. Secondo lo studio, il numero di persone indigenti, nell’Isola è cresciuto di 2,5 punti percentuali rispetto al 2012, passando dal 29,6 percento al 32,5.
Quanto alla composizione dei nuclei poveri, a livello nazionale l’incidenza della povertà assoluta cresce tra le famiglie con persona di riferimento con titolo di studio medio-basso (dal 9,3 all’11,1% se con licenza media inferiore, dal 10 al 12,1% se con al massimo la licenza elementare), operaia (dal 9,4 all’11,8%) o in cerca di occupazione (dal 23,6 al 28%); ma aumenta anche tra le coppie di anziani (dal 4 al 6,1%) e tra le famiglie con almeno due anziani (dal 5,1 al 7,4%): i poveri assoluti tra gli ultrasessantacinquenni sono 888 mila (erano 728 mila nel 2012).
Nel Mezzogiorno, all’aumento dell’incidenza della povertà assoluta (circa 725 mila poveri in più, arrivando a 3 milioni 72 mila persone), si accompagna un aumento dell’intensità della povertà relativa, dal 21,4 al 23,5%. Le dinamiche della povertà relativa confermano alcuni dei peggioramenti osservati per la povertà assoluta: peggiora la condizione delle famiglie con quattro (dal 18,1 al 21,7%) e cinque o più componenti (dal 30,2 al 34,6%), in particolare quella delle coppie con due figli (dal 17,4 al 20,4%), soprattutto se minori (dal 20,1 al 23,1%).
A tali peggioramenti, in termini di povertà relativa si contrappone il miglioramento della condizione dei single non anziani nel Nord (l’incidenza passa dal 2,6 all’1,1%, in particolare se con meno di 35 anni), seppur a seguito del ritorno nella famiglia di origine o della mancata formazione di una nuova famiglia da parte dei giovani in condizioni economiche meno buone.
Nel Mezzogiorno, invece, migliora la condizione delle coppie con un solo figlio (dal 31,3 al 26,9%), con a capo un dirigente o un impiegato (dal 16,4 al 13,6%), che tuttavia rimangono su livelli di incidenza superiori a quelli osservati nel 2011.