7,8 miliardi di euro nel 2013 e più di otto miliardi nei primi sei mesi di quest’anno.
È una montagna di soldi. Ed è quella che tutte le pubbliche amministrazioni siciliane devono al sistema delle imprese che hanno lavorato per loro.
Insomma, i debiti della PA siciliana nel 2013 non calano. Anzi, crescono (+2,5 per cento in un anno) secondo la Banca d’Italia. Stando infatti alle segnalazioni pervenute all’associazione regionale dei costruttori edili (Ance Sicilia) dalle sezioni territoriali, la cifra nel 2014 ha appunto superato abbondantemente gli 8 miliardi, con tempi medi di pagamento che rasentano i 365 giorni.
“Ed è anche peggiorata” sottolinea la note dell’Ance “la qualità del debito: se prima si trattava anche di spese per investimenti che comunque generavano nuova occupazione, il ritardo nell’utilizzo dei fondi europei e statali e la quasi assenza di risorse regionali per pagamenti in conto capitale hanno fatto sì che i debiti accumulati siano prevalentemente per forniture e spese correnti. Dunque, non c’è nuova occupazione e le imprese, avendo contratto debiti a breve termine per l’acquisto dei materiali da fornire, non ricevendo pagamenti possono solo chiudere”.
I costruttori siciliani lamentano che “l’atteggiamento delle pubbliche amministrazioni è stato finora di assenza o, peggio, di indifferenza: sono pochissimi gli enti locali dell’Isola che hanno richiesto le anticipazioni messe a disposizione dal governo nazionale; la Regione non ha utilizzato le risorse offerte dal Dl 35 del 2013 e non ha ancora acceso il mutuo da 1 miliardo di euro. A poco è valsa, dunque, la procedura di infrazione avviata dall’Unione europea nei confronti dell’Italia. Il risultato, per quanto riguarda il solo settore edile” sostiene l’Ance “è di quasi diecimila aziende fallite in poco tempo e di novantamila lavoratori licenziati”.
Salvo Ferlito, presidente di Ance Sicilia, sintetizza: “Si discute ogni giorno di rischio di default della Regione, ma
nessuno si è reso conto che qui rischia di fallire tutta la Sicilia. Attendiamo un colpo di reni che liberi la capacità di iniziativa di mettere liquidità sul mercato, e che imponga regole di trasparenza e certezza del diritto a chi decide la spesa pubblica”.