Hic sunt leones: i Radiodervish a Modica. Cantando l’Africa e il Mediterraneo

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A quest’angolo di Sicilia, approdo di salvezza per decine di migliaia di “leoni” costretti al coraggio di fuggire dalla propria terra, proprio come i leoni dorati de Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway, i Radiodervish hanno scelto di dedicare “Les Lions”, uno dei brani più belli del loro “Beyond the Sea”.

Ospiti del Caffè letterario Hemingway (guarda caso), ieri sera Nabil Salameh, Michele Lobaccaro e Alessandro Pipino, che definiscono come una “fratellanza cosmica” il miracolo della loro sintonia tradotta in musica, sono riusciti a tessere lo stesso legame con un pubblico incantato fino all’emozione, lungo due ore di un concerto che è stato più un incontro ravvicinato, intimo, al “chiuso” di via Grimaldi.

Il solstizio d’estate si è tinto delle mille variopinte suggestioni che il cantautorato mediterraneo dei Radiodervish sa rinnovare ogni volta senza stancare mai: tanti concerti sono venuti a fare nella terra iblea, ma mai come stavolta la loro presenza ha assunto un valore di testimonianza. “Questo è un posto intriso di sovrapposizioni, qui è chiaro cosa vuol dire poter fare dell’incontro con l’altro una prospettiva, un orizzonte da esplorare e non un limite da arginare: è per questo che la Sicilia ci risuona dentro”.

Ciò che accade a noi oggi, non è diverso da quanto accadeva nella Puglia della fine degli Anni ’90: il luogo e il tempo in cui i Radiodervish sono nati. La loro identità – Nabil è figlio di rifugiati palestinesi, è cresciuto in Libano, ha studiato in a Tripoli, a Bucarest e infine in Italia, a Bari – ma ancor più la loro poetica e il loro linguaggio raccontano di un Mar Mediterraneo ponte tra Oriente e Occidente, il mare a cui popoli e uomini hanno affidato nel corso dei secoli le loro speranze: qui tutto porta memoria di incontri e contaminazioni, esattamente come la loro musica. Ed ecco che l’incontro dei mondi sonori, al pari di quello degli uomini e delle loro storie, diventa occasione di ricchezza e non certo ragione di paura.

Con questo pensiero e l’occhio attento all’animo del pubblico, i Radiodervish hanno intessuto una scaletta serrata, dalle origini di “Radio Dervish” e “Belzebù”, fino ai brani struggenti, maturi, del loro ultimo album “Human”: “Velo di sposa”, “Birds”, “Lontano” e “Stay human”, vero e proprio manifesto di un messaggio di umanizzazione che riguarda gli individui e le collettività. Hanno riaperto gli scrigni di dieci album, i Radiodervish, per far ancora una volta innamorare il pubblico con un incalzante selezione di tracce indimenticabili: “Centro del mundo”, “L’immagine di te”, “L’esigenza”, “Due soli”, fino all’omaggio ad Antonio Gramsci con i passaggi lirici di “Rosa di Turi” e quello sanguigno a Domenico Modugno con le rivisitazioni arabe di “Amara terra mia” e “Tu sì na cosa grande”.

È la consapevolezza, ciò che ci serve ad affrontare con serenità l’arrivo di queste persone“, ha detto più volte Nabil: e forse da ieri, anche grazie a loro, ognuno se ne porta dentro un po’ di più.

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