Mondiali 2014: “I calciatori gay si dichiarino”. Per il bene del calcio e della società

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I giocatori gay ai Mondiali brasiliani del 2014 dichiarino la loro omosessualità per aiutare gli omosessuali nel mondo ad essere accettati.
Non lascia spazio alle interpretazioni (ma all’azione, sì) l’invito dell’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani Navi Pillay: “Esorto i giocatori, gente di sport, a dichiarare senza paura il proprio orientamento sessuale” perché “è l’unico modo per farsi accettare. È importante inviare messaggi ai tifosi perché è vergognoso, in quest’epoca, che le persone nascondano ciò che sono in realtà“, ha dichiarato il commissario Pillay, giudice della Corte Penale Internazionale, dal primo settembre 2008 ricopre la carica alle Nazioni Unite.

Questione tanto annosa quanto spinosa quella dei gay dichiarati nel pianeta calcio. Ed è stato così da sempre. Con “rivelazioni” eclatanti, smentite, nomi sussurrati. Come se la cosa, la si potesse scrivere nell’agenda del semplice gossip (da spogliatoio o da parrucchiere).

In realtà – purtroppo – sono davvero pochi quelli che, tra i novelli semidei del calcio, decidono di fare coming out.
Altrimenti non si giustificherebbe lo scalpore suscitato, qualche mese fa, da queste frasi: “Sono omosessuale e con questa mia rivelazione vorrei promuovere una seria discussione sul tema tra gli atleti professionisti”. L’ha pronunciata, nel corso di una lunga e appassionata intervista, Thomas Hitzlsperger, oggi 31enne, ex centrocampista della nazionale tedesca (52 presenze tra il 2004 e il 2010) e con un bel po’ di maglie prestigiose indossate in carriera (Aston Villa, West Ham, Everton e Lazio, per soli sei mesi del 2010).

Le parole e i pensieri di Hitzlsperger sono stati raccolti dal settimanale tedesco Die Zeit e hanno fatto il giro del mondo: mai prima un calciatore della nazionale tedesca aveva fatto coming out. Che ha aggiunto: “Accettarlo è stato un processo lungo e difficile prima di tutto per me stesso. Nel calcio l’omosessualità è completamente ignorata, sia che si parli del campionato tedesco, inglese o italiano. L’idea di una dura competitività tra gli atleti non si sposa con l’idea che qualcuno degli atleti possa essere gay“.

Le sue parole non hanno avuto esito, da un punto di vista istituzionale, fino a quando (e siamo nel luglio 2013) la lega calcio tedesca ha sottoscritto un documento, la Fussball und Homosexualität, per stimolare le 26mila società calcistiche registrate in Germania a un approccio aperto e senza pregiudizi verso l’eventuale “dichiarazione” di omosessualità dei loro calciatori associati.

Parallelamente, anche la Lega calcio inglese ha lanciato la campagna Football .V. Homophobie per togliere l’aurea da tabù all’omosessualità nel calcio. A sostenerla è sceso in campo anche l’attuale ct della nazionale inglese (ed ex tecnico dell’Inter) Roy Hogson: “Non vorrei mai vedere qualcuno escluso dal praticare o guardare questo magnifico gioco solo perché ha paura di quel che potrebbero dirgli. Il calcio trascende ogni tipo di differenza”.

E in Italia?
Dopo anni di silenzi, è stato l’allenatore degli azzurri Cesare Prandelli nella prefazione a prendere la parola. Anzi la penna. E nella prefazione del libro Il campione innamorato – Giochi proibiti nello sport di Alessandro Cecchi Paone ha scritto: “Nel mondo del calcio e dello sport resiste ancora il tabù nei confronti dell’omosessualità, mentre ognuno deve vivere liberamente se stesso, i propri desideri e i propri sentimenti. Dobbiamo tutti impegnarci per una cultura dello sport che rispetti l’individuo in ogni manifestazione della sua verità e della sua libertà”.

Libertà, appunto. Anche quella di dire pubblicamente e senza paura il proprio orientamento sessuale. Proprio come ha invitato a fare l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Navi Pillay.