Amigdala, ippocampo, corteccia prefrontale: sono queste le principali aree cerebrali chiamate in… campo durante una partita di calcio. Un mix di intense emozioni quelle regolate dall’amigdala che portano il tifoso a passare repentinamente da apprensione a collera, da ira a gioia, da rassegnazione a stupore.
L’ippocampo diventa depositario di azioni calcistiche che vengono fissate in memoria con una precisione tale da far invidia al miglior giocatore di poker! Infine, la corteccia prefrontale che, scomodando i preziosissimi neuroni specchio, permette al tifoso di immedesimarsi (talvolta fin troppo) nell’azione del calciatore che sta segnando o, al contrario, mancando, un fondamentale goal. Il tutto, nel corso dei 90 minuti, determina una serie di alterazioni di funzioni corporee (battito cardiaco accelerato, rialzo della pressione arteriosa, incrementi di adrenalina e noradrenalina, ecc.) accompagnate da mutamenti nell’umore capaci di protrarsi per tutta la giornata e anche più, in funzione delle singole azioni di una partita e del risultato.
Da un punto di vista più prettamente antropologico, le modalità dello sport di squadra in generale e del calcio più in particolare, sono state paragonate ai costumi tipici degli uomini primitivi che si riunivano in tribù per muoversi contro il nemico. Svariate le analogie possibili in merito, se si pensa ad esempio alle dinamiche di attacco e fuga o se si paragonano le società calcistiche a vere e proprie tribù con regolamenti, ruoli ben definiti, stregoni ed eroi.
Sul versante della psicologia sociale, i meccanismi alla base del tifo calcistico richiamano molto di ciò che accade nei fenomeni delle grandi folle.
I comportamenti, infatti, sono regolati da una serie di meccanismi automatici, quali la tendenza all’omogeneità e alla fusione, da sentimenti di potenza invincibile, dal contagio emotivo e dalla suggestionabilità.
Il desiderio di appartenere ad un gruppo e di difenderne l’identità portano alla manifestazione di intensi vissuti di ostilità verso la tifoseria “nemica”, fino ad arrivare a discriminazioni vere e proprie degli avversari, considerati alla stregua di una minaccia reale per la sopravvivenza. È come se la volontà e la personalità del singolo si dissolvessero per lasciare spazio all’impulsività, agli eroismi, entusiasmi (talvolta anche alla ferocia e all’aggressività) della massa. E questo è solo un assaggio concentrato di quanto si cela dietro quei vissuti e fatidici 90 minuti.