Il Cristo “muricanu” di Cordeiro è arte o marketing?

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Domenica sera ho avuto il piacere di condurre una talk informale con Marcel Cordeiro al Borgo degli Artisti, nel contesto di Modica AltArte: un’occasione che mi è sembrata particolarmente interessante e stimolante, innanzitutto perché due distinti operatori culturali e addirittura due distinte manifestazioni artistiche hanno trovato in questo contesto l’occasione per “parlarsi” – e dunque capirsi, confrontarsi, integrarsi – circostanza più unica che rara in una città incline per dna e abituata per consuetudine a dividersi tra due (o più) “patroni”.

Nel mezzo della nostra chiacchierata è arrivata una lettera di Francesco Lucifora, ideatore e direttore del CoCA, il Center of Contemporary Arts, che certo se avesse accettato di prendere parte alla conversazione avrebbe avuto l’occasione di rendere costruttivo il confronto tra opinioni lontane, anziché limitarsi a giudicarlo e a farsi giudicare “in contumacia”. Il suo lungo testo meritava e merita comunque di essere oggetto di questo confronto e sarebbe auspicabile che lo fosse ad un livello più ampio di coloro che hanno avuto la buona volontà di venire domenica scorsa a Modica Alta.

Riassumo in breve il dibattito per chi, non avendo avuto occasione di partecipare, non ha avuto nemmeno la pazienza di seguirlo attraverso i testi che sono stati resi pubblici dagli interlocutori.Provo a sintetizzare – e lui non me ne voglia – ciò che Francesco Lucifora sostiene nella sua lunga nota: il lavoro di Cordeiro non dovrebbe essere assimilato a quello del mondo dell’arte quanto piuttosto a quello dell’improvvisazione, non essendosi Cordeiro preoccupato di comprendere e interpretare l’identità del territorio in cui è “sbarcato”, non essendosi sforzato di compiere la fatica necessaria a costruire e consolidare questa identità come altri in Sicilia, e in particolare nel Sud Est, fanno da decenni, ed essendosi invece limitato a condurre la sua iniziativa come un hobby part-time, con artisti part-time, producendo infine risultati di cattivo gusto e privi di senso, come il Cristo installato sulla collina della Giacanta.

Già domenica a Modica Alta e nuovamente oggi con un comunicato stampa, Marcel Cordeiro ha risposto così: “Chi ci critica spesso manca della buona volontà di informarsi: il nostro Cristo un senso ce l’ha e sarebbe bastato leggere i giornali per sapere che lo abbiamo pensato per legare questa edizione di Wtp al 140° anniversario dell’inizio dell’emigrazione italiana in Brasile e rappresentare un abbraccio ideale tra le due nazioni. Per il resto molte critiche sanno di corporativismo: l’arte deve saper parlare alla gente e farla parlare sui temi attuali che l’arte può servire a porre al centro dell’attenzione. Peraltro Lucifora nella sua lettera cita la Farm Cultural Park di Favara come modello positivo di proposta culturale legata all’arte contemporanea, quando proprio pochi giorni fa Andrea Bartoli, l’ideatore di Farm, ha parlato della nostra idea del Cristo come di uno ‘straordinario lavoro’ e voglio ringraziarlo per questo. Noi con questo Cristo abbiamo interessato al discorso artistico tutta la città e fasce di pubblico anche molto diverse tra loro, dal giovane al vecchio, dall’intellettuale al netturbino. Finché riusciamo a fare questo, avremo raggiunto l’obiettivo di Wtp”.

Premettendo, dunque, che mi sono trovata a moderare un dibattito, seppur “ideale”, tra due persone che considero innanzitutto due cari amici, ma anche, più obiettivamente, due persone che a mio avviso hanno in tempi e modi diversi fatto un gran bene alla città di Modica, e premettendo anche che non mi considero affatto un’esperta di arte contemporanea, ma solo una fruitrice assidua e una allieva curiosa (e un po’ invidiosa) di coloro che in questo mondo si muovono con dimestichezza e cognizione di causa, mi sento di provare a suggerire qualche riflessione.

E la prima riflessione che mi viene è che il senso, l’utilità, l’efficacia di un intervento artistico, di un’opera piuttosto che di un evento, non possa essere valutata nella ristretta cerchia dei circoli intellettuali e non possa ridursi ad oggetto di un dibattito-scontro autoreferenziale, che nemmeno nelle proprie argomentazioni assume gli elementi dell’opinione pubblica e della percezione comune che dovrebbero essere, se non altro, proprio l’obiettivo finale da colpire e dunque, innanzitutto, da capire.

Non mi interessa nemmeno avventurarmi in questa sede nell’eterno dibattito sui rapporti tra accademici, gallerie, realtà indipendenti e quant’altro, ma è pur vero che anche una fatto semplice come l’installazione del Cristo di Rio sulla collina della Giacanta di Modica ricade sotto le categorie di alcuni interrogativi essenziali e irrisolti come: cos’è un’opera d’arte; chi è titolato a produrla e chi giudicare ciò che lo è e ciò che non lo è; e ancora in che misura l’arte può intervenire nello spazio urbano, per interpretarlo, connotarlo, condizionarlo, re-inventarlo?

Mi viene in mente La grande bellezza e qualcuna delle memorabili scene che deridono sfrontatamente proprio quell’autoreferenzialità dell’arte, talmente esasperata da farne un contenitore vuoto e privo di senso, che non è più capace di parlare di niente e di nessuno, a niente e a nessuno, se non a se stessa e del proprio autocompiacimento: l’artista Talia Concept che spicca la sua folle corsa fino a sbattere la fronte contro gli archi dell’acquedotto Claudio, l’enfant prodige Carmelina costretta a dipingere la grande tela in giardino di fronte ad un pubblico impassibile, persino il riferimento al valore del jazz etiope.

Ma mi viene in mente anche la provocazione di Uwe Jaentsch, l’artista austriaco che un paio di mesi fa ha “imbrattato” con un gigantesco “SI VENDE” una fontana del ‘500 nel centro di Palermo: che si sia trattato di un folle gesto vandalico o di una costruttiva provocazione artistica ha fatto discutere parecchi e per parecchio tempo. Senza dover necessariamente stabilire, rispetto a quella polemica, dove stesse la ragione e dove il torto, non si può negare una cosa: Uwe Jaentsch è un artista vero, quello che ha fatto è servito ad accendere i riflettori su una situazione di abbandono e di degrado che perdurava da decenni (forse da secoli) e molti di quelli che se ne sono indignati sono gli stessi che per decenni (forse per secoli) non si erano mai nemmeno accorti dell’esistenza di quella fontana alla Vucciria, men che meno di che valore avesse o di cosa fosse necessario fare per metterla al centro di un positivo percorso di crescita culturale, sociale e di conseguenza economica.

Il Cristo di Rio sulla collina della Giacanta, senza bisogno di ricorrere ad alcun atto vandalico, ha acceso i riflettori su un luogo magnifico e abbandonato e su un tema sociale completamente dimenticato, così come da quattro anni a questa parte l’insegna cubitale di “Welcome to Paradise” ci ha segnalato l’esistenza della collina di Monserrato e ha convinto per la prima volta dopo decenni (forse dopo secoli) migliaia di modicani a salirci e a scoprirne la bellezza: forse, persino, anche molti stranieri e molti turisti che di questo pazzo brasiliano hanno letto sulla stampa regionale, nazionale, internazionale.

Potrei citare molti altri esempi di molti altri sforzi che nel tempo sono stati fatti e non sempre sono stati compresi: dal grande lavoro dello stesso Borgo degli Artisti a Modica Alta a quello, per esempio, che SEM sta facendo a Scicli per riaprire spazi monumentali e metterli al servizio dell’arte, per finire proprio in Farm Cultural Park a Favara.

Tutte iniziative autonome tra loro e anzi completamente diverse, provenienti da mondi diversi, sensibilità diverse, ma accomunate da due sole caratteristiche: l’intenzione costruttiva nel riportare la vita in luoghi che non l’avevano più o nei quali nessuno mai più avrebbe pensato di rivederla, e una sostanziale attenzione e approvazione da parte del pubblico.
Non sarò certo io a dire che per raggiungere questi scopi vada bene tutto: rassicuro il mio amico Francesco Lucifora, anche se so che non potremo mai essere d’accordo, che davvero non mi appartiene la concezione commerciale dell’evento culturale, seppur ho il difetto di non considerare il “marketing” come una brutta parola.

Ma mi limiterò a dire che la funzione sociale dell’arte non può essere assolta se l’arte non è in grado di farsi comprendere, se non parla alle persone, se non le spinge a parlare fra di loro, non per forza con la pretesa di educarle ma se non altro con quella di scuoterle, di attrarle, di provocarle e, in conclusione, di mostrare loro delle nuove possibilità .
Ecco, tanti anni fa, in una delle prime interviste che feci a Marcel Cordeiro, lui mi disse: “Qui siete abituati a guardare l’Italia dal basso verso l’alto”. Oggi mi viene da dire che questo punto di vista, se lo si assumesse davvero e più spesso, ogni tanto potrebbe anche rivelarsi un privilegio e non per forza un limite.