Il crollo della speranza nei giovani disoccupati

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IL CHIARO
I numeri e le statistiche parlano chiaro: la crisi economica impedisce ai giovani di realizzare i propri sogni, di costruire una nuova famiglia, di sperare nel futuro o, talvolta, anche solo di trovare il modo di sostentarsi e di diventare indipendenti.
Accade così che molti di loro sono costretti a chiedere aiuto, se possibile, alle proprie famiglie di origine, che continuano giocoforza a mantenerli.

L’età media in cui si abbandona il nido si sposta, di conseguenza, sempre più in avanti.

Indignazione, rabbia, sconforto sono le prime reazioni comuni di fronte ad episodi che, nel quotidiano, attestano simili realtà. Diverse le reazioni e i comportamenti dei giovani messi in atto per far fronte alla crisi economica:

– c’è chi lotta, chi tenta con ogni mezzo di guadagnarsi un proprio spazio nelle realtà locali o addirittura chi prova ad inventarsi un’attività che gli possa consentire il minimo benessere;

– c’è chi accetta un posto di lavoro che non ha nulla a che vedere con il percorso di studi intrapreso, accontentandosi di posti di lavoro precario, basse retribuzioni e pochissime sicurezze allo scadere di un contratto;

– c’è chi tenta per un po’ nel territorio di origine, ma non vedendo risultati e non trovando alternative possibili, decide di tentar fortuna all’estero: “cervelli”, ma non soltanto, in fuga, che fuggono in Paesi che ancora consentono di mantenere accesa la fiaccola della speranza…

– C’è però anche un’altra fetta di giovane popolazione che non rientra nelle categorie precedenti. Essa raggruppa tutti coloro che rimangono bloccati e che non riescono a muoversi in alcuna direzione. Sono coloro che non fanno tentativi, che non si propongono, che non osano perché “tanto tutto è fermo”…

Tale atteggiamento, che fa persino più paura dell’agghiacciante situazione lavorativa, è il dilagante senso di arrendevolezza che spegne progressivamente le menti e le rende avvizzite.

La confusione che tali giovani provano è degenerata in demotivazione lavorativa. “Non si può far nulla” è la prigione che annichilisce e conduce ad un vero e proprio circolo vizioso senza possibilità di uscita.
In questo modo, coltivando il disinteresse verso lo studio e verso il lavoro, le possibilità di migliorare le cose scompaiono davvero.

 


 

LO SCURO
Da dove partire allora?

Difficile dare risposte certe, ma, in linea di massima, alcuni spunti potrebbero aiutare, se non a cambiare completamente le cose, almeno a non crogiolarsi nell’inerzia.

 –       Accettare un lavoro che abbia anche una lontana attinenza con il percorso di studi concluso, persino se mal retribuito, può servire intanto ad accumulare esperienza cominciando dal basso: iniziare a rapportarsi con colleghi, nell’ottica che ogni cosa sarà comunque utile ad accumulare pezzi del proprio “bagaglio personale” che nel tempo crescerà.

–       Entrare a fare parte di una azienda, anche se questo non sarà il lavoro della vita, serve pur sempre a farsi conoscere oltre che a far crescere le proprie competenze. Per questo, il proporsi, anche se inizialmente a costo zero per il datore di lavoro, può essere un’utile mossa che permette di apprendere un’attività e al contempo di far conoscere la propria propensione al lavoro, la propria costanza e la propria motivazione (che rappresenta un ingrediente fondamentale per l’acquisizione di nuove capacità e competenze).

–       In questi casi risulta utile darsi delle scadenze temporali, per impedire che la buona volontà venga sfruttata per lunghi periodi: ciò può rappresentare un antidoto al cristallizzarsi dello stato delle cose per il datore di lavoro. Nel momento in cui ci si rende conto che il proprio lavoro è utile e produce un guadagno, si può parlare chiaramente di eventuali proposte e prospettive.

–       Entrare nell’ottica che svolgere un lavoro considerato “umile” non significa necessariamente abbandonare quelli che erano i sogni iniziali: ogni mestiere oggi ha bisogno di una costante opera di “intelletto”. Persino quando si fa, ad esempio, il panettiere è importante conoscere come esporre, come pubblicizzare o come incrementare la produzione di prodotti tipici del territorio in modo da commercializzarli anche in località lontane.

–       Infine, inventarsi il lavoro: il che significa contribuire a generare una nuova domanda e persino nuove esigenze. Ad esempio, fare l’idraulico può significare non solo lavorare “per chiamata” legata a contatti e conoscenze dirette, ma eventualmente creare reti con colleghi, unirsi, anche qui farsi conoscere dall’utenza, proporre nuovi servizi a prezzi competitivi, ma che garantiscano qualità al consumatore e permettano al team di professionisti di risparmiare sul costo iniziale dei materiali necessari. Tale esempio può essere esteso a svariate altre situazioni lavorative.

 Invece di attendere che i tempi o le cose cambino o che la crisi economica ceda il passo ad un periodo più florido, si potrebbe approfittare per coltivare un atteggiamento nuovo: ciò può rappresentare, nel proprio piccolo, un antidoto alla crisi economica attuale.

Tutto ciò significa non affidarsi soltanto alla banale speranza che la ripresa economica vedrà risolto ogni problema in ambito lavorativo e consente di coniugare il desiderio di seguire le proprie inclinazioni senza discostarsi troppo dalle necessità concrete del momento attuale.