Com’erano vestiti Federico Enriquez e Anna Cabrera il giorno del loro matrimonio, nel 1481, quando per questa occasione fu edificato il complesso monumentale di Santa Maria del Gesù, oggi tra le poche testimonianze rimaste dell’architettura della Contea? E perché gli abiti dei giullari alla corte modicana erano degli stessi colori della città, il rosso e il blu, mentre altrove l’abbinamento tipico era quello del giallo e del verde, simbolo del disordine e del tradimento?
Lo studio degli usi e dei costumi della Contea di Modica, ben lungi dal potersi improvvisare con sfilate di carrozze e cowboy, richiede un approfondimento a cui si sono dedicate le guide turistiche dell’associazione “Talìa” che, esclusivamente con le loro forze organizzative ed economiche, hanno allestito a Palazzo De Leva la mostra “Correva l’anno 1296”, che resterà aperta fino al prossimo 26 maggio.
Come suggerisce il titolo, il percorso comincia dal 25 marzo 1296, data di fondazione della Contea di Modica, di cui anche qui è possibile leggere il famoso bando: quello con cui Federico II d’Aragona affida per la prima volta il titolo di “Comes Mohac” a Manfredi Chiaramonte, già “Dominus” di Ragusa, il cui casato mantenne il controllo del feudo più ricco di Sicilia fino all’avvento di Bernardo Cabrera, nel 1392. Di questo primissimo ma fortunato tratto della lunga storia della Contea di Modica, la mostra punta a ricostruire non solo la storia, ma soprattutto le caratteristiche della società: “Gli abitanti del Feudo dei Chiaramonte – spiegano le guide – erano distinti in tre ceti: i nobili, comprendenti i baroni e i gentiluomini (fra cui i cavalieri o militi); i borghesi, con terreni e allevamenti di loro proprietà; infine i ministeriali o lavoratori, cioè i capimastri dei vari mestieri (operai, manovali, bottegai, rustici legati alla terra).
Ma è la lettura del contesto sociale e politico attraverso l’evoluzione della moda uno degli aspetti più interessanti di questa esposizione, che propone un approfondimento specifico non solo sul significato dei colori nell’abbigliamento medioevale e rinascimentale, tanto più che proprio nei secoli del Basso Medievo se ne diffuse l’uso laddove fino a quel momento ci si era limitati a utilizzare i tre toni polari (bianco, rosso e nero), ma anche una ricerca sulla provenienza dei coloranti naturali.
È il caso delle murici da cui si estraeva il tipico color porpora, che proprio Anna Cabrera scelse per il giorno del matrimonio con Federico Enriquez, che sancì l’unione dei due casati e il passaggio della Contea di Modica ai castigliani, strettamente imparentati coi sovrani di Spagna: “In occasione dei matrimoni – spiegano ancora le guide – veniva spezzata un’unica ostia, divisa tra i due sposi, che bevevano dallo stesso calice e poi accendevano un cero alla Santa Vergine”. Anna e Federico, com’è noto, andarono poi ad abitare nel Castello di Modica, come stabilito dalla madre della contessa e come fu scritto nei capitoli matrimoniali firmati dal re di Spagna: dopo la morte di Giovanna Ximenes de Foix, contessa madre, avvenuta nel 1484, Federico e Anna si trasferirono in Spagna e da quel momento più nessun componente di questa famiglia risiedette più stabilmente a Modica.
Gli abiti del Teatro Massimo
Sono gli abiti di scena del Teatro Massimo di Palermo, quelli utilizzati dalle guide dell’associazione Talìa per l’allestimento della mostra “Correva l’anno 1296”. I costumi di tre opere di Giuseppe Verdi, in particolare, si prestano particolarmente allo scopo di esplicitare la moda del Basso Medioevo, nel caso de “Il trovatore”, e quella del primo Rinascimento, nel caso di “Ernani” e “Don Carlos”. I mobili sono stati messi a disposizione da un antiquario di Rosolini. Le guide turistiche si sono preoccupate di scegliere con cura anche gli addobbi floreali, tra cui spiccano i grandi e coloratissimi papaveri del ‘300, che crescono ancora nei giardini del Castello di Donnafugata.
Palazzo De Leva
La mostra organizzata dall’associazione delle guide turistiche Talìa ha tra i suoi pregi la scelta della location: Palazzo De Leva, attualmente sede del Centro Studi sulla Contea di Modica, grazie ad una concessione dell’attuale proprietario, l’ing. Carmelo Avitabile De Leva, trova così più frequentemente occasione di essere aperto al pubblico. Non solo i turisti, ma i modicani stessi, hanno infatti raramente occasione di tornare a posare gli occhi sulla bellezza del Portale, elegante quanto raro esempio dello stile gotico-chiaramontano, che resta tuttora tra i beni più trascurati della città, se non altro dal punto di vista della conoscenza e della fruizione.
I locali aperti al pubblico sono i bassi, parzialmente scavati nel banco roccioso, un tempo utilizzati come scuderie, che presentano al soffitto lo stemma della famiglia e alle pareti resti di finestre e strutture trecentesche. Tra le sale, una in origine era un orto aperto, che nel ‘700 venne chiuso per farne un granaio pavimentato in pietra asfaltica.