A lead role in a cage

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Una memorabile canzone dei Pink Floyd – una di quelle intramontabili che dovrebbero conoscere persino coloro che organizzano le sfilate medievali con abiti del Seicento tra le campagne dell’antica Contea – ci chiedeva e ancora ci chiede se sia saggio scambiare “a walk on part in the war for a lead role in a cage”: la parte della comparsa in guerra per un ruolo da protagonista in gabbia.

Suonerà un poco criptica come premessa, ma è un’immagine che mi è tornata in mente spesso assistendo al dibattito tutto modicano sui Liberi Consorzi. Lasciando nell’angolo le derive del cortile, quelle che prende chi utilizza questo dibattito per costruire manovrine di politica interna, mi sembra infatti che la questione riguardi proprio questo: quale ruolo immagina Modica per il proprio futuro, quello di una comparsa in guerra o quello da protagonista in gabbia?
Entrambe le prospettive, com’è sinteticamente evidente nella potente metafora rock prog, presentano giganteschi pro e giganteschi contro: per valutarli, dunque, bisogna scendere dal principio generale al caso particolare, contestualizzarlo, relativizzarlo.

L’ipotesi che in questo momento va per la maggiore – e che condividono nel merito persino quelli che non ne convidivono il metodo – a quanto pare è quella di costituire il “Libero Consorzio del Val di Noto”. Il punto è declinare questo suggestivo slogan in un’ipotesi operativa, che potrebbe rivelarsi non solo tutt’altro che realizzabile, ma anche ben al di sotto delle aspettative che il cittadino medio potrebbe identificarvi.
Con “Libero Consorzio del Val di Noto”, infatti, il sindaco Ignazio Abbate intende un confine geografico molto preciso: il territorio della Diocesi di Noto (Noto, Avola, Pachino, Portopalo, Rosolini, Modica, Scicli, Ispica e Pozzallo), più il Comune di Palazzolo Acreide con annessa Unione dei Comuni della Valle degli Iblei (Buccheri, Buscemi, Canicattini Bagni, Cassaro, Ferla, Palazzolo Acreide, Sortino). Questa formula gli consentirebbe di raggiungere due dei suoi obiettivi: far sì che il Comune di Modica diventi il capofila del Consorzio (dato che per legge questo ruolo spetta al Comune con il maggior numero di abitanti) e mangiare finalmente il piatto freddo della vendetta di Modica nei confronti di Ragusa, che aspetta da oltre 70 anni di essere consumata.
Quest’ultimo aspetto – al di là delle legittime, comprensibili, per molti versi anche condivisibili argomentazioni di natura storico-culturale orientate a supportare la “mozione” Abbate – è quello che sembra maggiormente capace di suggestionare i modicani e di scuotere le coscienze degli intellettuali della comunità: il “gran ritorno” di Modica, l’avverarsi finalmente della profezia da decenni scagliata come un anatema dai modicani contro i ragusani, sembra un’occasione imperdibile di catarsi, la storia che ripristina una propria intrinseca coerenza e una necessaria, agognata, giustizia.

Ma se è vero com’è vero che la riforma con cui la Regione, prima ancora dello Stato, ha abolito le Province per far nascere i Liberi Consorzi, è un’occasione per ripensare i territori, questo ripensamento dovrebbe guardare maggiormente alle opportunità che possono venire per il futuro anziché a quelle che vengono dal passato: dai millenni che costituiscono il patrimonio della nostra storia comune dovremmo ereditare beni, tradizioni e valori; sentimenti negativi come rabbie, rancori e campanilismi sarebbe anche ora di lasciarli dentro i confini della vecchia Provincia, impacchettarli con le cartacce di viale del Fante e buttarli una volta per tutte nella spazzatura.
Tanto più che – detto con il cuore in mano a quegli intellettuali, degni del mio massimo rispetto, che si stanno così tanto impegnando a sostenere la causa che nei fatti sostiene Abbate – a quelli della mia generazione, quelli a cui proprio loro non si sono impegnati a lasciare una società migliore di quella che avevano ereditato dai propri genitori, della vecchia storia di “Ragusa-Provincia-Muorica-sta-mincia” non gliene importa proprio niente. Ce ne importerebbe, piuttosto, che ci spiegassero qual è l’idea di territorio che hanno per darci maggiori opportunità di restare a lavorare da queste parti, possibilmente facendo un mestiere che dia un senso allo sforzo dei nostri studi, possibilmente contribuendo con questo stesso mestiere alla crescita complessiva delle nostre città.

E a tal proposito – qualora dovesse valere qualcosa il punto di vista di qualcuno che in questo territorio ci abiterà auspicabilmente ancora per qualche decennio e vorrebbe veder migliorare anziché peggiorare la propria qualità della vita – devo confessare che quando in questi anni si è parlato di “Val di Noto”, di “Sud Est” e categorie di questo tipo, in tutta onestà ho immaginato qualcosa di diverso. Ho immaginato, banalmente, che con queste categorie si identificasse quell’elenco di Comuni la cui omogeneità è stata riconosciuta e valorizzata dall’Unesco: Modica, Ragusa, Scicli, Noto, Palazzolo Acreide, Caltagirone, Militello (lasciamo da parte Catania, per ovvie ragioni). Ora, cosa dovrebbe portarci ad escludere Ragusa da quest’elenco, a rigor di logica e in prospettiva futura, proprio non si capisce. Se non – ça va sans dire – che se si assumesse davvero quella del Val di Noto, nel senso autentico del termine, come base del ragionamento, Modica non risulterebbe più di diritto il Comune capofila del nuovo Consorzio.
Lungi da me giungere a qualunque conclusione che possa andare contro gli interessi della mia città – mai potrei, per quanto ne sono innamorata -, ma insomma, sarebbe anche ora che la smettessimo di arroccarci sulla velleità di considerarci l’ombelico del mondo e cominciassimo a considerarci quello che siamo: una città speciale, sì, ma al centro di un territorio speciale, che deve sapersi dare – tutto insieme – un futuro speciale.
E dei sindaci di questo territorio ricordo lo sforzo, negli ultimi dieci anni – e potrei citare uno ad uno gli episodi – di pensare il Sud Est come distretto culturale prima, come distretto turistico poi, di fare insieme una programmazione culturale, di presentarsi insieme come destinazione turistica: non dovrebbe essere dunque questo l’orizzonte naturale del futuro Consorzio, quello che coronerebbe nel contesto di una vera unità istituzionale quello che finora è stato solo un tentativo politico, molto spesso affidato solo alla lungimiranza e al buon senso di singoli?
Dico di più: in un contesto geografico che va ridelineandosi intorno alle tre grandi aree metropolitane di Catania, Messina e Palermo, che senso ha smembrare questo territorio del Sud Est in due o addirittura tre Consorzi dallo scarsissimo potere contrattuale nei confronti dei livelli istituzionali superiori, e confinarci in un budello così stretto, solo per potercene dire i capofila?

Rispetto al ruolo da leader in una gabbia, la prospettiva, forse un po’ meno narcisistica ma per certi versi più schietta e coraggiosa, del combattente in guerra – quella della competitività della nostra terra nel mondo -, potrebbe essere per una volta quella che ci serve a conquistare il futuro. Un futuro vero, in campo aperto, capace di guardare al mondo, e non uno soffocato in una gabbia, capace di arrivare al massimo al proprio ombelico, pur bello che sia.