Nove tarì di carne per l’ultimo pasto dei condannati a morte

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castello dei conti

Settembre 1860. 24 detto [mese], erogati 9 tarì in compra di Carne ed altro per i condannati a morte”. I nove condannati a morte.

Dai registri della contabilità del Monastero di San Martino a Modica Alta, diligentemente compilati dalla cellaria suor Teresa del Cuor di Dio, emerge un curioso, piccolo tassello che si aggiunge alla faticosa ricostruzione storica dell’episodio che ai più è noto come “il mistero dei nove”, dal titolo di uno dei pochissimi saggi scritti sull’argomento dallo studioso Giuseppe Chiaula. Poco si conosce della vicenda di questi nove modicani arrestati, processati e condannati a morte tramite fucilazione – avvenuta poi il 24 settembre 1860 -, dalla cosiddetta “Curti Subitania”, la Commissione speciale penale istituita nel quadro del nuovo ordinamento giudiziario imposto da Garibaldi, che già parecchi condannati aveva fatto contare dopo le rivolte di Alcara Li Fusi, Catania e soprattutto Bronte. I nove modicani, ben lungi dall’essere dei pericolosi ribelli, erano stati accusati di violenze e reati contro il patrimonio, perché nella notte fra il 2 ed il 3 settembre 1860 avevano commesso un furto con scasso e violenza e sparato una fucilata senza conseguenze, in contrada Zappulla. Bottino magro: 16 onze e rotti e due “pendaglie” d’oro del valore di 1,6 onze.

Alla cronaca asciutta ricostruita dal padre cappuccino Samuele da Chiaramonte del 1897 e ai frammenti di notizie raccolte dagli storici e dagli appassionati, si inserisce adesso un “dettaglio” inedito capace di aggiungere una nota di umanità a questa vicenda infelice.

A scoprirlo, tra le carte custodite all’Archivio di Stato dell’Ente Liceo Convitto, è stato Marco Blanco, giovane ricercatore storico modicano. “Negli anni ’60 del XIX secolo – scrive Blanco – fu affidato a suor Teresa il compito di registrare minutamente gli introiti e gli esiti del convento. Denaro, frumento. Dazi, gabelle, ‘provisioni’ per la comunità, ‘ricreazioni” e ‘complimenti’. Con scrittura nitida e precisa la religiosa annota in un discreto italiano le voci di spesa e i relativi oneri. Quale sorpresa dunque rinvenire, nascoste tra le pieghe della piccola storia, due voci di spesa che solo in principio sembravano essere uguali alle altre. Dalla notazione di suor Teresa del Cuor di Dio che ho avuto la ventura di riportare alla luce scopriamo che il Monastero di San Martino fu quasi certamente il luogo in cui si consumò l’ultimo pasto dei condannati a morte prima della loro fucilazione. Pasto frugale, anche se in quei nove tarì spesi ‘per compra di carne ed altro’ vogliamo immaginare una sincera pietas cristiana nei confronti dei nove”. La suora si attarda ad annotare i nomi dei condannati e le circostanze straordinarie di questo episodio che incrociò la placida vita del monastero e che sconvolse la città intera per la gravità della condanna e l’esecuzione quasi immediata, avvenuta “nel Campo Santo così detto di S. Maria lo Rito”, ovvero il Cimitero storico di via Loreto. Lievemente diversi i nomi di alcuni rispetto a quelli segnati con gelida fedeltà nei registri ufficiali e negli atti di morte della Comune modicana: “Domenico Matarazzo, Carmelo Iachinoto, Francesco Floridia, Iacinto Terranova, Giuseppe Alescio, Ignazio Zacco, Emmanuele e Bartolo fratelli Terranova Aggeri, e Angelo Giannone Faccibella“.

Una nota di umanità – conclude la ricerca di Blanco – viene aggiunta dunque soltanto dallo stilo di una suora celleraria, la quale nella ragioniera computazione di ‘ovi’, ‘carcioffole’, ‘pasta al torchio’ e salme di frumento non poté fare a meno di includere i nomi di nove sfortunati rubagalline che solo da pochi anni sono stati restituiti alla memoria condivisa e non sempre onorevole della nostra città“.

 

[Fonte: La Sicilia]