Oggi è il 63esimo anniversario del “disastro di Modica”

348

E’ il 4 gennaio del 1951. Sono le due di pomeriggio. Un boato tremendo squarcia la tranquillità dell’allora popolato quartiere Dente. Come una punizione divina la ViaOcchipinti è caduta giù. Venti case che sembravano solide erano costruite in realtà su una grotta che non ha più retto al peso. Sotto le macerie rimangono tre vittime. Due bambini e un’anziana donna. Carmelo Candiano, sorpreso mentre dormiva nella culla, e Giorgina Colombo, esperta sarta del quartiere, muoiono all’istante. Il piccolo asfissiato dalle polveri respirate, la donna schiacciata da un grosso masso. La terza vittima, Giovanni Carpentieri, ancora un ragazzino, muore una settimana dopo mentre era ricoverato presso il vecchio ospedale di Modica Alta. Una tragedia immane purtroppo sconosciuta ai più. Dimenticata da tutti tranne da chi la visse in prima persona. In occasione del 63° anniversario siamo andati nei luoghi teatro del crollo. Come se il tempo si fosse fermato la vita scorre tranquilla in questo angolo di paese. La “Vanedda Branca”, come viene chiamata l’area sottostante il ponte costruito successivamente alla tragedia, è transennata perché pericolante. L’assurdità è che le transenne sono alla base dei piloni che sorreggono il ponte mentre sopra circolano liberamente persone e auto. Evidentemente la storia ancora una volta non ha insegnato niente. Ma ritorniamo alla nostra  di storia. Possiamo tranquillamente parlare di tragedia annunciata. La strada, costruita ad inizio secolo, aveva già superato i 40 anni senza nessun tipo di intervento. Già da qualche giorno i residenti erano allarmati dalla comparsa di alcune crepe nel terreno antistante le case. Era stato avvertito anche il comune ma vuoi la concomitanza con le feste Natalizie, vuoi la noncuranza, il problema era stato sottovalutato. Addirittura un tecnico comunale coprì con del terriccio le crepe per non creare allarmismi. La situazione però si aggravò nei giorni successivi tant’è che il giorno stesso di buon mattina una residente si accorse che dal pavimento di casa sua riusciva a vedere le mucche che erano rinchiuse nella grotta di sotto. A questo punto le autorità prontamente informate decidono per l’evacuazione d’urgenza. Le operazioni vanno però maledettamente a rilento e verso le due del pomeriggio avviene l’irreparabile. Viene letteralmente a mancare la terra sotto le case che cadono come fossero di carta portandosi dietro tutto quello che avevano dentro, persone comprese. Per ricostruire l’esatta dinamica abbiamo rintracciato alcune preziose testimonianze dirette di quel maledetto giorno. Una di queste è la signora Maria Cassarino, 81 anni oggi, 18 all’epoca. Una miracolata. Grazie ai suoi ricordi che sono ancora nitidi scopriamo una bella storia e una figura finora rimasta ingiustamente nell’ombra, l’uomo che la salvò da morte sicura: “Mentre tutti si affrettavano a lasciare le case mia madre mi disse di andare dalla vicina ad aiutarla con il bambino, che poi purtroppo morì nel crollo. Io lo stavo per prendere dalla culla quando mi sentì trascinata giù. Ricordo che non feci in tempo ad afferrarlo che fui travolta dai muri della casa. Per mia fortuna forse il tetto mi cadde addosso senza colpirmi consentendomi così di ripararmi. Ero rimasta però intrappolata in mezzo alle macerie. Avevo gambe e braccia rotte, il viso sanguinante e non vedevo via d’uscita. Per fortuna tra i soccorritori c’era Orazio Caschetto che sentendomi gridare con l’ultimo filo di voce che avevo cominciò a spostare massi grossi così per arrivare da me. Mi trovò, mi prese in braccio e mi portò fuori da quell’inferno. E’ stato come un angelo per me”. Oggi il signor Caschetto non c’è più, abbiamo però parlato con i parenti più vicini, le figlie e le due nipoti che vivono ancora là. Classe 1905, dopo la guerra in Africa dove soffrì anche la prigionia, tornò a casa, mise su un’impresa che costruiva strade. Spaccava quelle pietre che quel giorno toglieva di mezzo. I parenti ci hanno dato una sua foto perché riteniamo giusto che il suo volto venga conosciuto, anche come simbolo per i tanti altri che sono rimasti sconosciuti alla storia ma che grazie alla loro generosità, piccone alla manoriuscirono a salvare tante vite umane nel lontano pomeriggio di 63 anni fa.