IL CHIARO
“Rubano il lavoro che già non c’è per noi…”
“A me non fanno paura, l’importante però è che vadano altrove”
“Vengono a rubare nelle nostre case e ad ubriacarsi per le strade”
“Sono tutti uguali: portano solo guai!”
Sono solo alcune delle frasi che ultimamente capita di sentire spesso per strada o al bar, dati i costanti e continui sbarchi di extracomunitari sulle nostre coste.
La “paura dello straniero” e gli atteggiamenti di rifiuto verso chi ha caratteristiche differenti dalla proprie (aspetto fisico, cultura, modalità di comportamento, pensiero, linguaggio, ecc.) sono e sono stati presenti in ogni società e in ogni epoca.
Alimentare la paura verso il “diverso” mira per certi versi a creare unione e solidarietà tra gruppi che si sentono così appartenenti alla stessa “categoria” sociale e, quindi, uniti nella “lotta” contro lo straniero/nemico che viene, pertanto, discriminato, allontanato, emarginato.
La paura dello “sconosciuto” è insita nell’essere umano che fin dagli 8-9 mesi di vita circa, inizia già a discriminare volti familiari da sconosciuti. In quel caso un ruolo importante è giocato dalla sicurezza che la mamma infonde al bambino e anche nello stimolare e sostenere il misto di interesse e curiosità che, al contempo, è compresente nel bambino.
Una spiegazione molto articolata sulla xenofobia (parola che richiama alla memoria pagine della storia “umana” terribili, ma di questo si tratta) potrebbe, ancora, essere incarnata dalla paura verso lo “straniero” intesa come “paura dello strano che c’è in noi”, come se l’appartenenza di qualcuno ad una cultura differente richiamasse tutto ciò che non è del tutto comprensibile e noto in ognuno di noi…
Un atteggiamento opposto alla paura è, invece, quello dell’interesse e dell’apertura totale (xenofilia, in casi estremi) verso lo straniero, che porta alla giustificazione estrema, al favorire e, in alcuni casi, a facilitare le cose il più possibile, proprio in virtù di quella diversità. Questo accade per un meccanismo del tutto opposto alla discriminazione, che spinge a comportarsi in modo eccessivo in senso contrario o, in alcuni casi, per non rischiare di essere tacciati di razzismo.
Molto facile, in ogni caso, approfittare, in una direzione o nell’altra, dell’opinione e degli umori “contagiosi” delle “masse” e cavalcare l’onda di un simile argomento che ultimamente suscita, per forza di cose, tanto interesse e attenzione a vari livelli…
LO SCURO
E dall’altra parte?
Dall’altra parte c’è lui: lo “straniero” che lascia le proprie terre di origine perché cacciato (questo lo leggiamo persino in uno dei più noti Libri della storia…), per andare in cerca di un avvenire migliore, perché impossibilitato a restare dov’era a causa di guerre o del pericolo quotidiano, per condizioni di vita inaccettabili, ecc.
Sempre da quella parte c’è una persona a cui, più o meno repentinamente, proprio a causa dell’abbandono delle proprie terre d’origine, viene a mancare il terreno sotto i piedi.
Chi nella vita ha provato anche solo una volta l’esperienza del trasferirsi da una casa ad un’altra abitazione, anche se per propria volontà o per maggiore comodità (e, quindi, in condizioni del tutto favorevoli e ricercate), sa quanto tale evento possa essere fonte di stress e possa contribuire a fargli perdere i suoi consueti punti di riferimento… Figuriamoci allora quale possa essere il vissuto di chi fugge più o meno all’improvviso, senza sapere a cosa andrà incontro, dovendo re-inventarsi dal nulla e riadattarsi a nuove realtà (talvolta, anche a nuove condizioni climatiche, se si pensa a tutti coloro che attraversano l’Italia per raggiungere il freddo Nord Europa).
L’esperienza migratoria, inoltre, è molto diversa in relazione all’età dell’emigrante (un giovane uomo, una donna, un anziano, un bambino, un adolescente) o al fatto di emigrare da soli o con uno o più familiari.
Ancora, da un punto di vista psicologico, si può solo intuitivamente immaginare, in una situazione simile, quanto possa essere minato il proprio senso di identità e di appartenenza attraverso le varie fasi che vengono attraversate: dall’abbandono delle proprie terre, al viaggio di sé rischioso, all’arrivo in una terra straniera, fino all’inserimento (per i più fortunati) in un nuovo contesto sociale.
Si possono soltanto intuire quali aspettative, desideri, paure, sofferenze, ricordi, senso di confusione, vissuti emotivi, ecc. possano affastellarsi nelle menti e contribuire ad alimentare il senso di totale smarrimento.
Certamente anche fra quegli immigrati ci saranno persone disoneste, tanto disperate da spingersi fino ad atti di delinquenza… ma quelle stesse persone, senza morale né valori, esistono in ogni cultura e società e non è necessario andare molto lontano geograficamente per ritrovare esempi simili.
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La rubrica “ChiarOscuro” è curata dalla dott.ssa Daniela Maimone, psicologa e psicoterapeuta www.psicologiaepsicoterapia.it
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