Elegia su un Auditorium che non c’è più…

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Scrivo questa lettera a chi ha giocato almeno una volta a pallavolo, a chi ha guardato almeno una partita di pallavolo, a chi ama lo sport romantico, fatto di sentimenti, di ricordi e di emozioni che riaffiorano dopo tanti anni facendoti capire che non se ne sono mai andate. Qualche giorno fa mi trovavo in Piazzale Fabrizio (per me resterà sempre Fabrizio e non Baden Powell pur con tutto il rispetto per gli amici scout) quando ho visto le porte dell’Auditorium aperte. Per me, modesto giocatore ma grande amante di volley, un invito a nozze. Erano anni che non entravo là dentro. Con un pizzico di emozione mi sono avviato verso l’entrata. Lungo il tragitto mi si è acceso come un fuoco dentro pensando a tutte le emozioni e a tutti i ricordi che mi legavano a quel vecchio palazzetto. Era il 1989, un caldo sabato pomeriggio di maggio.  Nei miei occhi di bambino sono rimasti scolpiti i colori bianchi e rossi delle bandiere, delle sciarpe e degli striscioni preparati dai tifosi per celebrare la promozione in A-2 della Pro Loco di Rita Fugali. Uno in particolare che recitava: “A-2 passi dalla leggenda….”. Ricordo ancora le protagoniste che schiantarono 3-0 Caserta: Policarpio, Pennacchio, Stracquadanio, Modica, Cordeschi, Bongiovanni, le sorelle Catalano, Bregoli e Miceli. Perdonatemi se ne dimentico qualcuna.  Se chiudo gli occhi sento ancora l’incessante rumore dei tamburi, altro che vuvuzela. Là dentro era una bolgia infernale. C’era la voce dell’amico Piero Torchi che per Videomediterraneo commentava le gesta delle biancorosse ed ebbe l’onore di annunciare la promozione. Tanti tifosi che pur non masticando di pallavolo si avvicinarono a questa squadra e ogni sabato non mancavano mai di far sentire la loro vicinanza asserragliati sulla balconata o stretti dietro la transenna all’entrata. Era la pallavolo dei set a 15, del cambio palla e dei palloni tutti bianchi. Sembra la preistoria. Con tutti questi pensieri che mi corrono in testa entro e vedo d’un tratto crollare tutti i miei castelli in aria. Sembra un’immagine post apocalittica. Di quei filmacci americani dove rimane un solo sopravvissuto che si aggira incredulo tra le macerie. Alla mia destra e alla mia gli spogliatoi, o quel che resta. Non ci sono più i bagni, sanitari e lavandini scomparsi. Degli scaldabagni nemmeno l’ombra. Solo una vecchia cyclette che beffardamente ricorda come in quel posto una volta si faceva sport. Non c’è più un impianto elettrico ed il pavimento che conduce al campo è semicollassato su se stesso. Là dove c’era il banchetto del signor Cannata, lo storico custode, solo calcinacci ed enormi macchie di umidità. Del parquet, della rete, delle panchine nemmeno l’ombra. Volatilizzati così come le mie speranze di trovare ancora qualche traccia della gloria che fu. Qualche topo, un paio di colombe. Sono loro i nuovi utenti della struttura. Loro e gli immancabili vandali, la cui mamma è sempre incinta, che hanno spaccato tutto quello che c’era da spaccare. A terra malinconicamente giace il vecchio tabellone segnapunti che una volta serviva per annunciare le vittorie della Pro Loco o della Volley e che adesso fa da casetta ad un roditore. Dal tetto piovono calcinacci, la saletta adibita a palestra con ancora qualche attrezzo e sommersa da escrementi di animali. Tutto da un senso di morte, di distruzione, di abbandono. Ecco mi chiedo come sia stato possibile aver ridotto un gioiellino, un museo dello sport in un rudere triste e solitario. Me ne vado con la morte nel cuore.  E’ proprio vero che non è più tempo per i sogni. Si vive di business, di soldi, a chi vuoi che importino le riflessioni di un innamorato di un tempo e di una pallavolo che non esistono più?