“Quel che suona siciliano” potrebbe essere la traduzione di Sicilian sounding; un trucchetto che viene utilizzato dai pirati agroalimentari così come un falso amico: cioè, quel tipo di parola che in una lingua straniera è ingannevole alle nostre orecchie italiane.
La pirateria agroalimentare mette in giro prodotti dai marchi che ricordano il dop, il doc o l’igp siciliano ma che sono fasulli. Pachino per pomodori che si coltivano chissà dove e che non riportano l’etichetta Pomodorini di Pachino, un vino scuro che si chiama semplicemente Avola ma con vendemmia in Australia…
“È un vero e proprio attentato all’agricoltura e all’economia siciliane – dice Giorgio Assenza del Pdl– E, per questo, dobbiamo chiedere all’Ue di intervenire contro questi falsificatori e l’utilizzo improprio di parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamino alla Sicilia per prodotti che non hanno nulla a che vedere con la nostra realtà”.
Nell’Unione, il fenomeno, genera profitti con volumi d’affari quantificabili in miliardi di euro e, al suo esterno, le cifre si moltiplicano. “Tutti introiti rubati al nostro tessuto economico – sottolinea Vinciullo – Soltanto uno su tre dei prodotti che portano il marchio Italia è prodotto in Italia e uno su dieci di quelli col marchio Sicilia è siciliano”.
Quindi, Assenza e Vinciullo hanno presentato una interrogazione urgente per esortare l’assessore all’Agricoltura a intervenire affinché la Ue metta in pratica subito “forme legali di protezione dei nostri prodotti, così come finora è stato fatto soltanto per vini e liquori”.
“Prezioso – concludono – sarebbe un registro multilaterale di indicazioni geografiche: strumento basilare per una difesa efficace delle denominazioni alimentari europee a livello internazionale”.