Nella seconda metà degli anni Trenta la FIAT si trovava in una fase di decisiva evoluzione. Nel 1935 aveva lanciato la 1500, vettura di un certo pregio e venduta ancora a un prezzo accessibile. Un anno più tardi, alla conclusione della vittoriosa campagna d’Etiopia, venne messa in circolazione l’attesissima Topolino, che costava in origine, meno di 10.000 lire. Quindi fu la volta della FIAT 508 C Nuova Balilla. Come per la Topolino, il progetto si deve alla matita di Dante Giacosa. Classe 1905, romano di nascita e piemontese di adozione, si era laureato in giovane età in ingegneria meccanica industriale presso il Politecnico di Torino. Giacosa è stato un talento precoce: dopo aver lavorato alla divisione aeronautica della FIAT , era passato al settore automobilistico della stessa Casa.
Nel 1937 la FIAT stava accelerando il completamento del nuovo stabilimento gioiello di Mirafiori. La situazione produttiva era buona e in quel periodo l’amministratore delegato, professor Vittorio Valletta, riscontrava uno sviluppo del settore delle esportazioni (20.000 vetture esportate nel 1935, oltre 25.000 nel 1939) ed era forte la richiesta di mezzi per il fabbisogno militare e coloniale.
Che cosa si richiedeva alla neonata 508 c ? Sostanzialmente di ricalcare in chiave più moderna e confortevole i servigi che da alcuni anni erano resi dalla Balilla: trasportare comodamente una famiglia tipo di quattro persone provvista di bagaglio su tutte le strade del regno, dalle grandi statali alle provinciali, dalle autostrade ai passi alpini,con una marcia in più rispetto alla gloriosa progenitrice, che non sempre era in grado di soddisfare appieno queste esigenze. Va ricordato che all’epoca esistevano sul territorio nazionale 482 km di autostrade, collocate prevalentemente al Nord, sulle quali era possibile mantenere una media prossima ai 100 km/h, come del resto anche su diversi tratti delle grandi vie di comunicazione statali, la 508 C era in grado di fornire questa prestazione. Per quanto concerne il diporto, particolarmente sulle strade di montagna, la Nuova Balilla era in grado di scalare agevolmente lo Stelvio o i passi dolomitici, cosa non sempre possibile alla vecchia Balilla e del tutto sconsigliata alla Topolino.
Rispetto alla vecchia Balilla, la 508 C o Nuova Balilla montava un motore, dove i cilindri rimanevano quattro, ma l’alesaggio era stato elevato da 65 a 68 mm, ferma restando la corsa di 75 mm, cosicché ne usciva una cilindrata complessiva di 1089 cc contro i precedenti 995 cc. Sostanzialmente si può dedurre che la successione delle varie 508 sia la seguente: modello A, la originaria Balilla a tre marce: modello B, la successiva Balilla a quattro marce: il modello C, la Nuova Balilla. Della 508 C il motore aveva basamento e cilindri in ghisa con testa in alluminio e sedi delle valvole riportate; la camera di scoppio era piatta e le candele si inserivano lateralmente nella camera di scoppio. Le valvole in testa erano parallele, con molle di richiamo cilindriche, e venivano comandate dall’albero a camme nel basamento mediante aste e bilancieri. L’accensione era a batteria 12 volt e spinterogeno, con ordine di accensione 1-3-4-2 , e l’alimentazione a pompa meccanica, che aspirava dal serbatoio situato posteriormente, si avvaleva di un carburatore da 30 mm con diametro dl diffusore 22 mm; sopra la testata era collocato il filtro d’aria a olio e paglia metallica, munito di silenziatore. Il circuito di lubrificazione era azionato da una pompa a ingranaggi comandata dall’albero di distribuzione e il raffreddamento era a circolazione d’acqua a termosifone con radiatore ad alveare collocato davanti al motore.
La frizione, del tipo monodisco a secco con mozzo elastico, faceva da tramite verso il cambio di velocità, a quattro marce avanti più la retromarcia, con seconda e terza silenziosa e dispositivo sincronizzatore per l’innesto rapido della seconda, terza e quarta velocità. La leva di comando a cloche, pressoché immutata rispetto alla Balilla a quattro marce, era un’asta ricurva con pomello in gomma e bachelite. La posizione per l’innesto delle varie marce era identica a quella che si riscontra oggi su una vettura italiana dotata di cambio a quattro velocità, per la retromarcia occorreva spingere verso il basso e quindi a destra indietro l’asta di comando. L’albero di trasmissione tubolare, dotato di giunti flessibili alle due estremità e di manicotto scorrevole anteriore, trasmetteva il moto al ponte posteriore , che era ad alberi portanti e scatola di lamiera d’acciaio stampato, coppia di riduzione a ingranaggi conici con dentatura a spirale.
Il telaio era in lamiera d’acciaio stampata ed era formato da due longheroni provvisti di mensole esterne per il fissaggio della carrozzeria e irrigiditi da una traversa centrale a crociera. La sospensione anteriore prendeva ruote indipendenti con molle elicoidali e ammortizzatori idraulici in bagno d’olio, protetti da astucci cilindrici verticali fissati ai longheroni del telaio; la sospensione posteriore comprendeva, invece, molle a balestra integrate da ammortizzatori idraulici telescopici e barra stabilizzatrice.
Le concezioni estetiche erano quelle sviluppate per le vetture Fiat 1500 in quel periodo, linea sfuggente, decisamente aerodinamica, con calandra ricurva verso il parafango anteriore, le portiere incernierate all’estremità anteriore e posteriore, maniglie di apertura movimento verticale, incassati dentro appositi vani ricavati nello stesso stampaggio delle portiere stesse.
Il cruscotto in metallo nero comprendeva tre elementi circolari al centro, recanti l’uno l’indicatore livello carburante, l’altro il tachimetro- contachilometri e l’ultimo il manometro dell’olio. Anche il volante, a tre razze e corona piuttosto sottile, era nero.
Il bagagliaio era ricavato nel vano esistente fra il posteriore della carrozzeria, che all’esterno recava incassata, ma non protetta, la ruota di scorta, e il sedile posteriore; per accedervi occorreva ripiegare in avanti di 90° lo schienale del sedile stesso e il volume a disposizione per i bagagli era piuttosto modesto.
La vettura, con la sua calandra sfuggente,ricevette ben presto dalla fantasia degli utenti il nomignolo di versione “ musetto”. Pesava a vuoto 850 Kg e costava, franco fabbrica, 19.500 lire: un prezzo non certo economico rispetto a quelli correnti alcuni anni prima, ma va ricordato che nel giro di un paio di anni il costo della FIAT 1500 era lievitato da 21.500 a 26.000 lire e che la Lancia Aprilia, uscita quasi contemporaneamente, costava 32.000 lire.
L’esemplare di colore nero, riportato sulle foto, è stato acquistato e immatricolato da nuovo, in provincia di Siracusa, il 19 Luglio 1938 ed è sopravvissuto alle vicissitudini della seconda guerra mondiale, continuando nel periodo del dopoguerra il suo onorato servizio passando di mano per due proprietari. Poi dalla fine degli anni 50 è rimasto fermo per qualche decennio, al coperto in un casolare di campagna, sempre in provincia di Siracusa. Fino a quando alla fine degli anni 90 viene acquistato dal terzo proprietario, che ne inizia il restauro.
C’è da dire che il mezzo durante questi anni, benché fermo, per il fatto che é stato riposto correttamente ha conservato nel tempo le sue dotazioni originali, compresa la documentazione tutti i libretti e le targhe di prima immatricolazione.
Ad inizio dell’ anno Duemila è stato acquistato dall’attuale proprietario, un’ appassionato Ragusano, che in un paio d’anni, ne completa il restauro rispettando minuziosamente le specifiche dell’epoca, in tutti i suoi particolari, ed ottenendo quindi il Certificato di Identità Targa Oro dall’ ASI (Automotoclub Storico Italiano).
Così si è presentato l’esemplare alla fine del restauro, esattamente come quando fu immatricolato a Siracusa il 19 Luglio del lontano 1938.
Unico particolare aggiunto sono gli indicatori di direzione sotto il paraurti anteriore, necessari alla circolazione in conformità al Codice della strada.
Gli indicatori originali, a bacchetta, sono rimasti perfettamente funzionanti , si notano in foto, e sono ubicati in prossimità dell’ attaccatura delle portiere anteriori.
I pneumatici a fascia bianca, così come in uso all’epoca, sono delle repliche perfette e riportano le stesse caratteristiche, dimensioni e disegno del battistrada originale di prima dotazione.
Ai nostri giorni viene utilizzato in occasione di raduni, gite sociali, mostre statiche, eventi e manifestazioni socio culturali, sempre con lo spirito della conservazione del Patrimonio motoristico Nazionale.