Le ultime vicende politiche, le continue e repentine metamorfosi sociologiche derivanti da una imperante e globale crisi economica inevitabilmente portano con se una rilevante “crisi di senso” individuale. La “liquidità” di ogni rapporto con gli altri, il moltiplicarsi dei punti di vista, spesso di carattere scientifico, sulla vita, sulla visione della stessa realtà, di fatto non fanno che acuire il nostro interiore dubbio radicale, che facilmente sfocia in uno stato di scetticismo e di indifferenza o nelle diverse espressioni del nichilismo.
Pretendere di trovare un senso, smarriti fra tanti frammenti o fermandosi ad un solo frammento (si pensi ad esempio alla visione assoluta che ogni forza politica italiana oggi possiede circa la soluzione delle problematiche che attanagliano il nostro Paese), senza altra aspirazione che la ricerca di una quanto più longeva gestione del presente, espone realisticamente al rischio di disperdersi e di chiudersi definitivamente in esso.
Ma, anche in questa nuova condizione in cui si “sopravvive” sempre più disagiati, incerti ed anche frastornati per un futuro dai contorni foschi, ecco che fortunatamente spuntano il bisogno e la necessità di ognuno di noi di raccordarsi ad un sogno, ad un’attesa, ad una destinazione. Prende corpo, si materializza allora quella idea del “camminare dell’uomo”, dell’intraprendere un cammino risolutivo in grado di fungere da riscatto dalla difficile situazione attuale. Si innescano meccanismi virtuosi che danno la stura alle infinite potenzialità che ognuno di noi conserva spesso in uno stato di letargo sino a quando necessità e condizioni particolari non ne determinano il risveglio.
Il cammino, metafora di questa ultima aspirazione di pienezza (peregrinamus semper) che descrive l’uomo come “viator”, contiene in sé sempre una meta, anche quando l’ “andare verso” o il “tendere-a” dovesse ridursi al solo e semplice camminare.
Ecco che, fatta questa premessa, può essere ancor di più apprezzata rispetto quanto non lo si possa già fare da una lettura di primo acchito, la struggente lirica “Itaca” di C. Kavafis, che ho recentemente rispolverato dall’archivio della mia memoria, grazie ad un post in un blog di un collega. Con questa lirica Kavafis offre un’interpretazione tutta metaforica del camminare, al punto da identificare la meta nel percorso, cioè la meta è tutta nel camminare.
Egli ci fa intendere che è il percorso la vera saggezza. Il che significa che Itaca, come approdo, non risulterà affatto decisiva per il valore e il senso del viaggio.
Cito alcuni versi del poeta: “Itaca tiene sempre nella mente. La tua sorte ti segna quell’approdo. Ma non precipitare il tuo viaggio. Meglio che duri molti anni, che vecchio tu finalmente attracchi all’isoletta, ricco di quanto guadagnasti in via, senza aspettare che ti dia ricchezze. Itaca t’ha donato il viaggio. Senza di lei non ti mettevi in via. Nulla ha da darti più. E se la trovi povera, l’Itaca non t’ha illuso. Reduce così saggio, così esperto, avrai capito cosa vuol dire un’Itaca”.
Trovo questi versi di un fascino incredibile poiché essi non propongono né la rassegnazione né l’ostracismo. Propongono un vero e proprio esodo. Tuttavia colui che intende o ha necessità di intraprendere questo cammino affinché possa avere i tratti del cammino di Ulisse, l’eroe greco, o quelli di Abramo, il santo biblico deve abbandonare la connotazione dell’uomo postmoderno. Non può essere un turista, o un viaggiatore o un bighellone. Deve essere un viaggiatore stricto sensu. Ognuno di noi ha intrapreso il suo personale cammino, il suo viaggio fatto di approdi felici, di naufragi drammatici, di peregrinazioni al limite delle nostre forze. Probabilmente non siamo in grado di comprenderne la ricchezza che ognuna delle singole esperienze che il viaggio ci ha regalato portava con sé, di molti momenti ne avremmo fatto volentieri a meno, ma è grazie al nostro viaggio, ancora in corso, che oggi siamo queste persone. Migliori di ieri!
Quando siamo fiaccati da un momento, ci sentiamo disillusi rispetto un sogno o ancora crediamo di non aver nulla di offrire al mondo che ci circonda, basta solo pensare alla nostra “Itaca”, all’affascinante percorso che abbiamo compiuto ed al fascino di quello che ancora ci attende se non decidiamo di starcene in un porto sicuro. Certamente qualche altro mare in tempesta ci attenderà ma anche nuovi lidi e nuove avventure.
Ed è ciò che mi sento di dire oggi a tutti coloro che la loro Itaca non smettono mai di inseguirla e che si trovano, loro malgrado, avvolti da velo di “apatia”. Rimettetevi in viaggio. Non il viaggio della speranza, ma della certezza!