Del Liceo Classico “Tommaso Campailla” hanno scritto molti in questi giorni, praticamente tutti e quasi più che delle dimissioni del Papa. Quest’ennesima riflessione potrà dunque apparire ridondante, ma chi scrive da anni delle cronache modicane non può fare a meno di meditare sul valore eccezionalmente significativo e paradigmatico di questa vicenda.
La domanda se sia possibile piegare la storia, la memoria, le tradizioni e in ogni caso le esigenze di un territorio, alla fredda logica dei numeri, è una domanda che non riguarda solo il Campailla: riguarda contemporaneamente la Provincia di Ragusa e il Tribunale di Modica, riguarda i presidi di sicurezza e i reparti ospedalieri, riguarda persino gli uffici postali.
La risposta si chiama “spending review”, come ci hanno insegnato.
Questa formula è ormai entrata nel nostro gergo quotidiano, ma è interessante scoprire con quanta inconsapevolezza e incoerenza la trattiamo: siamo prontissimi ad acclamare con entusiasmo ogni spreco pubblico che viene finalmente snidato, sbattuto sulle prime pagine dei giornali con le sembianze di uno scandalo e debellato dalla storia del nostro Paese, ma siamo altrettanto pronti a gridare al sacrilegio quando questo spreco lo scoprono in casa nostra e tentano di venircelo a strappare.
Non voglio che le mie parole appaiano più brusche dei miei pensieri, né voglio che si pensi che considero degli sprechi istituzioni secolari come il Tribunale di Modica o il Liceo Classico Campailla o che sarei disponibile a vederle cancellate. Vorrei solo che ci esercitassimo a leggere questo segno (triste) dei nostri tempi (tristi), con un po’ meno campanilismo e un po’ più buon senso: non come una disgrazia che si abbatte su di noi alla stregua di una punizione di Zeus o con lo stesso accanimento persecutorio di una nuvoletta di Fantozzi, ma come l’esito ineludibile di un cambiamento non più rimandabile.
Già, un cambiamento “non più rimandabile”. Io stessa – che pure non ho alle spalle troppi lustri di esperienza – avrò già scritto decine di volte in passato di scandalizzati “al lupo, al lupo” sparsi ai quattro venti per impedire che Modica perdesse il suo Tribunale o il suo Liceo o – ahimè – molte altre cose. Ma ora, il lupo è arrivato. E porta – per il nostro Paese –lo stesso nome dell’obbligo categorico e “non più rimandabile” di ridurre la spesa e razionalizzare il funzionamento dei servizi: “spending review”, appunto.
Anche questa volta, per il Campailla, le reazioni sono state innumerevoli e allarmate.
L’ex sindaco Piero Torchi ha invitato l’attuale sindaco a ricorrere al Tar “accompagnando tale iniziativa con una credibile attività istituzionale che dia il senso di una città ancora governata e guidata da un’amministrazione in grado di fare fino in fondo gli interessi di Modica e di tutelarne storia e prerogative”. È giusto.
L’attuale assessore Tato Cavallino ha detto che “purtroppo la verità è che a Palermo il peso politico della nostra città è zero e stiamo pagando il fatto di non essere rappresentati”. Pure questo è vero.
Adesso gli studenti del Liceo stanno organizzando un’assemblea pubblica per vedere di capirci di più, per porre le loro domande e pretendere risposte. E questa è, in assoluto, la cosa più sacrosanta.
Ma dobbiamo pur dircelo che far valere “gli interessi, la storia e le prerogative” di Modica come se si trattasse del centro del mondo o almeno avere un onorevole a Palermo che le garantisca qualche privilegio, non è proprio quello che da cittadini dobbiamo augurarci, se nel frattempo vogliamo credere e vivere in un Paese in cui le decisioni vengono assunte e applicate in modo razionale, giusto ed equo per tutti.
E allora, piuttosto, guardiamoci intorno.
Non puntiamo l’imbuto su questo puntino minuscolo che è Modica, giriamolo dall’altra parte e vediamo di scoprire cosa sta succedendo nel resto d’Italia.
Rendiamoci conto che ovunque ci sono Province che devono scomparire, Tribunali minori che devono chiudere, scuole che devono essere accorpate.
E rendiamoci conto che, se ogni comunità opponesse a queste violenze le stesse legittime resistenze che stiamo opponendo noi, tutti i buoni propositi di “spending review” andrebbero a pancia all’aria. E il nostro Paese e le nostre città e il nostro lavoro e il nostro futuro, probabilmente pure. Nella migliore delle ipotesi, subiremmo una eterna tecnocrazia: perché tireremmo così insistentemente ogni lembo di giacca ad un governo politico, da spingerlo a desistere dal prendere qualunque decisione per il bene collettivo.
Fermi, so già cosa state per commentare: che il bene collettivo non si produce con i tagli lineari, senza guardare caso per caso cosa merita di essere salvato.
Ma nessuno oggi si ricorda – di certo non è il nostro caso, ma è il complesso delle cause che determina anche questa conseguenza – che le scuri arrivano laddove in passato certe spese sono lievitate in modo incontrollato e senza che nessuno, di quelli che oggi urlano, alzasse la voce per denunciarlo.
E nessuno si ferma un istante a chiedersi se può esserci un modo equilibrato, maturo, di accettare che le regole sono queste, che valgono per tutti e che la nostra opportunità può essere solo quella, anziché di opporvi un rifiuto tout court, di proporre soluzioni compatibili con quelle che sarebbero le nostre aspirazioni per il luogo in cui viviamo.
Non voglio dire che in questo caso sia così – non lo penso, perché conosco la reazione autenticamente dispiaciuta, delusa, ferita di chi si sta battendo per questa causa – ma nel nostro Paese anche il più ragionevole cambiamento produce sempre le più irragionevoli opposizioni. Ma quella che noi oggi subiamo come una intollerabile profanazione, probabilmente è stata pensata con l’intenzione positiva di rendere le cose maggiormente fluide e – perché no – persino di accrescerne la qualità in un contesto di impiego più razionale delle risorse pubbliche.
Allora, anziché correre (ad ogni sacrosanto anno scolastico) il rischio che ci portino via il Campailla, battendoci perché resti quello che è e dimostrandoci disposti a continuare a farlo anche qualora vi restasse un solo iscritto, perché non accettare che questo è semplicemente irragionevole e preoccuparci piuttosto di salvare quello che può essere salvato (una volta e per sempre)? Accorpare questo istituto ad un altro, raddoppiando il numero dei suoi alunni e mettendolo in salvo definitivamente, è forse incompatibile con la possibilità di salvare il nome di “Tommaso Campailla”, di continuare a far vivere le stanze di quel luogo incantevole e magnifico che è il Palazzo degli Studi, persino di continuare a mettere a disposizione delle giovani menti l’autorevolezza di quei docenti che sono stati e sono il vanto del Liceo modicano?
Il fatto è che la “spending review” non è solo un problema burocratico di voci in bilancio da mettere a dieta: è un problema della nostra disponibilità a cambiare mentalità e ad accompagnare l’Italia – a partire dalle nostre città – verso un passo diverso di marcia, con un peso diverso sulle spalle, e verso un livello diverso di funzionamento e di efficienza.
C’è bisogno di un “mind changing”, potremmo dire, visto che fingiamo che ci piaccia parlare come in Europa, senza accorgerci di quanto siamo ancora affetti da una cronica “narrow-mindedness”: la chiamano così da quelle parti, la ristrettezza di vedute.
Forse non dovremmo batterci né per la “spending review”, né contro: ma, per noi stessi, per una sana – autocritica, schietta, consapevole – operazione di… “mind review”!
[L’immagine scelta è una famosa illustrazione di Angelo Ruta]