Cara Francesca,
la tua lettera così semplice e genuina mi spinge a tirare fuori lo stato d’animo con cui in questi giorni, in queste ore, sto affrontando i volti e le parole di moltissime persone preoccupate come te per il loro futuro. Preoccupate giustamente e non meno di quanto lo sono io per loro e per le loro famiglie.
Non pensare, cara Francesca, che siano state fatte con superficialità le scelte che siamo stati costretti a fare. Non pensare che non siamo angosciati per il destino delle persone. Non pensare che ci siamo limitati a fare tagli lineari sulle loro teste per poi ritirare la mano o voltare le spalle: le mani, sin dal primo momento, ce le siamo sporcate e ancora ce le stiamo sporcando per cercare soluzioni; e alle persone come tua madre, anziché le spalle, continuiamo a mostrare la faccia, dando loro ascolto, assistenza, possibili prospettive.
Oggi potrei dirti molte cose per risponderti, per spiegarti che tra le scelte più dolorose, quella inevitabile che riguarda queste 22 persone è in assoluto la più dolorosa.
Potrei dirti che cinque anni fa il nostro Comune ha rischiato di fallire e che per tutto questo tempo abbiamo tentato di rianimarlo. Potrei dirti che ci siamo intestarditi a farlo in modo che le conseguenze non ricadessero sulle persone e sulle famiglie, anche quelle la cui posizione contrattuale ci avrebbe imposto sin da subito provvedimenti diversi. Potrei dirti che nonostante ciò abbiamo subito ogni forma di contestazione dalle persone che non venivano pagate e dai cittadini che non avevano servizi.
Potrei, anzi dovrei dirti che la situazione di questi 22 lavoratori non poteva rimanere a lungo in queste condizioni e che un rapporto di lavoro a tempo determinato in una azienda pubblica non si può semplicemente trasformare a tempo indeterminato. Dovrei dirti anche che la ragione per cui queste persone sono state pagate pochissimo e tardissimo è proprio perché non c’erano, sin dall’inizio, le condizioni per assumerle. E dovrei dirti che chi l’ha fatto se ne è preso il merito, come se davvero avesse potuto far finta di non capire che si trattava di una scelta al di sopra delle possibilità del Comune, mentre chi adesso deve porre un rimedio è condannato a prendersene la colpa.
Ancora, potrei limitarmi a risponderti che dopo tutto questo tempo, proprio ora il Governo ha approvato una legge che ci obbliga a porlo definitivamente, questo rimedio: una legge che consente ai Comuni di riequilibrare i bilanci dissestati, ma solo a condizione che si tiri la cinghia oltre ogni misura.
Potrei ricordarti che non è solo con queste 22 persone che si tira la cinghia, che altri sacrifici si dovranno fare, che ne dovremo chiedere uno a tutti e che anche noi lo stiamo facendo rinunciando per intero alla nostra indennità: un sacrificio insignificante, il nostro, ma che saremmo stati più felici di fare se fosse servito, se fosse bastato a garantire uno stipendio a tua madre.
Potrei anche ricordarti che la crisi tremenda che sta colpendo il nostro Paese ci mette davanti una situazione abnorme e drammatica, e che insieme a tua madre e a questi 22 lavoratori ci sono altri, dentro e fuori dal Comune, che hanno subito ore ridotte, sfruttamento, cassa integrazione, licenziamenti: una situazione rispetto alla quale – credimi – io non ho molte più armi di te.
Ma so benissimo che tutto questo per te ha poco senso, so che ce l’hai con me, con “chi amministra la nostra città”. Forse un senso non lo ha nemmeno per me di fronte al grido, alla protesta, al dramma anche di una sola persona, che mi fa sentire ancor più avvilito e impotente, come molti sindaci in questo momento – in tutta Italia – si stanno sentendo.
E tu hai fatto bene a dirlo ad alta voce, a scriverlo, ma non pensare che io sia sordo: anzi, il vero posto delle mie parole è accanto alle tue e insieme dovremmo rivolgerle più in alto, a ben altri livelli di decisione.
Allora voglio azzardarmi ancora a dirti che impotenti del tutto non lo siamo, né io né voi. E che se c’è anche una sola possibilità di trovare una soluzione – anche la più difficile e la più rischiosa dal punto di vista delle procedure – per tua madre, per quelli nelle sue condizioni per quelli che hanno veramente bisogno, noi non rinunceremo a fare fino all’ultimo momento ogni tentativo possibile per perseguirla.
Tua madre sa bene che non stiamo trattando il loro caso, né quello di altri, a cuor leggero.
L’ho promesso a lei e oggi lo prometto a te: non posso fare cose contro la legge, non posso nemmeno compiere miracoli, ma tutto quello che è in mio potere fare non mi tirerò indietro dal farlo.
Sperando che tu comprenda e sperando che le cose vadano meglio per tutti, ti ringrazio per le tue parole e per la possibilità che mi hai dato di scrivere le mie. La tua dignità e la tua forza ti saranno certamente d’aiuto per affrontare questo momento difficile ed è per questo che so di poterti fare i miei auguri affinché tu abbia il futuro che meriti.
Antonello Buscema
Sindaco di Modica